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GianMaria Zapelli elsewhere

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Elogio laico del sacro

Elogio laico del sacro

Che ne è dell’esperienza del sacro? Una parola diventata stantia. 

Eppure, un quotidiano senza l’esperienza del sacro forse è privo di qualcosa di pregiato.

Il sacro non è l’emanazione di una religione, la religione ne è uno dei possibili territori. Il sacro riguarda il rapporto con le nostre misure umane.

Il sacro è un collegamento, un legame. E’ un medium tra noi e lo smisurato. Il sacro è una presenza tangibile, percepibile. Con la funzione di connetterci con l’illimitato, con ciò che ci è totalmente lontano, inavvicinabile. Sono sacri un tempio, una reliquia, ma anche la foto della persona amata e perduta, il luogo del primo incontro o una promessa. La concretezza del sacro ci congiunge con uno sconfinamento, con l’indicibile. 

L’esperienza del sacro è benefica, perché ci educa: al rispetto, alla devozione, all’umiltà. L’oggetto che conserviamo, il luogo in cui entriamo, il ricordo che custodiamo sono esperienze intoccabili, immodificabili, di cui abbiamo cura.

Il sacro non esiste da solo, è sempre un sentire. Si entra in un luogo ed è sacro solo per come lo si attraversa, per come lo si vive. Si avvicina una persona e se ne può percepire a volte del sacro, oppure no. L’esperienza del sacro si manifesta quando si percepisce di essere in prossimità di una realtà che ci supera. E’ un contatto che brucia, perché si è vicini a qualcosa che non può essere posseduto dalle parole o dal gesto, che va oltre il pensiero che dà misura e circonferenze, e per questo merita devozione e reverenza.

Forse per questo il sacro ha perso attualità, perché ha bisogno di una grammatica del sentire che considera meravigliosi uno spazio, un dipinto, oppure una promessa, perché sono l’occasione di sentire le nostre carenze in contatto con ciò che è inavvicinabile. Ma quanto tutto è incessantemente avvicinabile, e ciò che non lo è viene ricondotto a cause umane. Quanto è scomparsa l’eternità, sostituita da un presente eterno. Quando si crede che l’estensione a cui può giungere l’io è condizionata dal suo impegno, dalla fortuna o dalle possibilità economiche. Quando l’io ha perso l’umiltà dei suoi perimetri e lo smisurato è solo una misura non conteggiata, il sacro non ha necessità di esistere. Senza l’eterno non abbiamo perduto solo il sacro, ma anche la cura di cui ci rende capaci.

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