Come sappiamo è diventato sempre più spregiudicato (ovvero senza valutazione e giudizio) lo scollegamento tra le parole che ci descrivono e le azioni compiute. Sono dileguati i freni sociali e gli inibitori collettivi che tenevano in carreggiata, che riconducevano a comportamenti di cui rispondere, a comunitarie regolazioni morali ed etiche che prescrivevano modi di agire. L’agire si è affrancato dalla coscienza, dalla fatica della coscienza. La giustizia e l’equità sono diventate famigerate, categorie adattate e personalizzate alle proprie reazioni emotive, al proprio rancore, alla propria rabbia. Così è anche diventato più indecifrabile, inafferrabile, comprendere i valori e la stoffa di una persona.
Lo scrittore Maggiani propone una misura, inequivocabile e perfetta per la sua nitidezza: “Chi se ne frega”. Quando e su cosa ci viene da pensare, se non persino dire: “Chi se ne frega”?
Psicologicamente è impossibile includere tutto, sentirsi vicini a tutto, farsi carico di tutto ciò che sentiamo, viviamo, incontriamo. Il cuore è un contenitore confinato, chiuso da limiti a capienza circoscritta. Sicché per tutti vi sono esperienze, incontri, occasioni verso i quali la risposta, spesso intimamente silente, è: “Me ne frego”, ovvero: non mi riguarda, non mi faccio coinvolgere, che rimanga fuori dai confini delle mie preoccupazione e attenzioni.
E proprio qui possiamo trovare un crinale cristallino di quale pasta siamo fatti. Quello da cui ci teniamo distanti quando nel nostro cuore compare: “Chi se ne frega”. Si tratta di una misura precisa, che disegna il mondo e la vita che crediamo non ci riguardi e non influenzi ciò che possiamo fare o decidere.
Me ne frego sovente non è presente nel nostro cuore in questa versione un po’ triviale. Per lo più trova modalità meno esplicite e rudi, parole anche amabili, che però declinano, che ci allontanano, che ci consentano di non farne parte, di sentirci altrove, di guardare altrove.
Me ne frego potrebbe persino essere un modo con cui riconoscere vicinanze e legami. Perché nei modi e nei contenuti con cui diamo accesso al nostro personale “me ne frego” possiamo trovare amicizie, culture, progettualità, come ostilità, indifferenza e disonestà. Infatti, non conta solo ciò che vogliamo tenere vicino. Si capisce meglio chi siamo attraverso ciò di cui ci disinteressiamo. Attraverso il concreto e tangibile modo di agire, usando il parcheggio per disabili, non pagando le tasse pur avendone le risorse, cercando di saltare la coda credendo di avere buoni motivi, ignorando il disagio di una persona vicina su un mezzo pubblico, passando oltre la villania a cui assistiamo verso uno dei tanti deboli, consentendo silenti alla persona di cui diciamo di essere amici di manifestarci il suo maschilismo o il suo razzismo. Qui il me ne frego irrompe afferrandoci le paure, la pigrizia, la diffidenza, l’opportunismo, persino la cattiva coscienza.