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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
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Il cuore tribale e la globalizzazione

Brexit, Trump, Merkel che perde terreno, Austria, Polonia. Forse presto anche l’Italia. Un vento della stessa temperatura soffia su questo mondo occidentale. Una temperatura gelida di muri, di privatizzazione dell’esistenza, di diritti egoistici. Un clima che vuole sbarazzarsi delle leggi (400 leggi da cancellare), come se regole e leggi fossero una palla al piede della civiltà. Invece che la condizione per una coesistenza libera e responsabile.

Che sia solo l’effetto di una classe politica deludente, incapace di costruire credibilità e una cultura della solidarietà e dell’inclusione? Certo la politica che dovrebbe avere un’ispirazione sociale e internazionalista sta rivelando uno sconcertante smarrimento, ferma ad autolesionistiche battaglie di posizione personale. Ma non può essere solo questa la ragione di un simile prepotente e diffuso soffiare verso muri e isolamenti. Vi è una paura nel cuore che non riguarda solo l’inaffidabilità della politica.

Franco Fornari, uno dei più grandi psicoanalisti italiani e non solo, ha scritto: “Comunicare è uno scambio di doni all’interno di mura comuni”

Il cuore non è fatto per la globalizzazione.  E’ amaro ammetterlo, il cuore ha bisogni di muri, di confini entro cui sentirsi al riparo e poter realizzare una comunicazione. Perché i confini stabiliscono linguaggi comuni, regole facilmente condivise, gesti, abitudini, prassi e valori. E’ troppo lo sforzo psicologico necessario per uno scambio e una comprensione senza confini, senza appartenenze, senza un dentro e un fuori. Il cuore è psicologicamente tribale.

La globalizzazione è diventata una realtà economica, persino prepotente, forse eccessiva per un cuore che non ha la forza di sentirsi tutto e con tutti. Abbiamo così un futuro da costruire, per capire se sarà possibile avere muri e allo stesso tempo non così isolati, anaffettivi e insensibili da ignorare ciò che sta fuori, invece che comprendere e incontrare.

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