Non è questione di essere contro, di opporsi, o di fuggire. Vi è un andare in opposta direzione che può essere vantaggioso per ciò che fa imparare e trovare.
La mente ha sempre una direzione da prendere, raramente è smarrita o disorientata. Le esperienze che ci stanno alle spalle sono il nostro indirizzo verso il futuro, ci orientano, selezionano, stabiliscono cosa vedere, cosa pensare e come agire. Siamo un futuro che è iniziato molto prima di accadere, scriveva Rilke.
Poiché la mente è predisposta in questo modo, ad essere spontanea e autoritaria nel dirigersi, avvalendosi della memoria, combinata con la ripetizione e le emozioni.
Così abbiamo una già direzione, prima ancora di trovarci a scegliere, a vedere, a capire, una direzione che usa pensieri senza la fatica di pensarli, emozioni senza la fatica di viverle. Molto ci accade ed sembrerebbe tassativo che sia così. Spontaneo, appunto.
E per lo più va bene così, va bene affidarci al nostro istinto, a ciò che facciamo senza riconsiderarlo, senza dubitare, senza esitazioni, perché ci affidiamo alla direzione che ci viene dalla nostra mente. Una direzione che però a volte potrebbe avere paure inutili, pensieri troppo frettolosi, modi di sentire, di vedere che nella loro spontaneità trascurano, ignorano, aggrediscono, fuggono, perdono occasioni di essere migliori, più sereni, più efficaci.
Ecco due modi per andare in opposta direzione (di quella verso cui ci dirige la nostra mente spontanea).
Prendere il controllo del pensiero.
Quando l’amigdala mette in moto un’emozione negativa (paura, rabbia, aggressività) attraverso di essa cerca di impossessarsi della mente, cerca conferme e validazioni, rivendica attenzione, cercando di subordinare a sé la mente e i suoi pensieri. Ma, se nel momento in cui sentiamo annunciarsi queste emozioni disfunzionali, riusciamo a pensare ad altro, ad andare in direzione opposta, quel che accade è un’estinzione della prepotenza emotiva. Pensare ad altro. Ovvero esercitare con autocontrollo un pensiero del tutto estraneo alla natura dell’emozione – ad esempio, contare in progressione i numeri dispari, ripetere dall’ultima alla prima le lettere di una parola -. Pensieri del tutto estranei alla ragioni che rivendicano le emozioni. Quel che succede è il loro disconoscimento, la loro mortificazione, perché una parte del nostro cervello le sta ignorando bellamente.
Dare al corpo le emozioni che vogliamo
E’ stato provato da molte ricerche neuroscientifiche: l’amigdala per calibrare l’intensità della proprie emozioni utilizza la postura e la tensione muscolare del nostro corpo. Il sorriso che abbiamo o non abbiamo sul visto, la postura eretta o ripiegata della schiena, i gesti lenti o frenetici del corpo, i muscoli distesi o contratti. Non solo l’amigdala può produrre reazioni fisiche attraverso le emozioni, ma ci appartiene attraverso le funzioni corticali esecutive di poter agire sul nostro corpo, non meno dello slancio predatorio dell’emozione. Sicché, si può inviare all’amigdala un messaggio forte e chiaro attraverso il corpo. Imporsi un lieve sorriso sul viso, rilassare i muscoli delle guance, rallentare e calmare la voce, modulandola con calore, raddrizzare la schiena, sono ottimi modi per andare in opposta direzione, quando sentiamo invaderci emozioni che sono direzioni spontanee che non vogliamo prendere. La mente che vorrebbe monopolizzare quel che sentiamo attraverso una paura o un’emozione aggressiva, si arrende alla direzione autonoma e libera che prendiamo, diventando più mansueta.