Solitamente non scrivo di me. Considero poco rilevante la cronaca della mia vita. Già mi pare tanto che lo possa essere – rilevante – per le persone che amo. Questa volta mi viene un’eccezione, pur sempre nel solco dei contenuti per una riflessione con sé.
È piuttosto inevitabile che passando gli anni si facciano dei bilanci. Percependo l’avvicinarci di quel tempo nel quale si deve considerare la fine della propria vita si affaccia l’interrogativo su quel che si è guadagnato e si è perduto strada facendo. Senza affrontare un lungo elenco di quel che la vita mi ha arricchito e quel che invece ho perso mi soffermo su un guadagno e una perdita.
Quel che ho guadagnato con gli anni vissuti, e in realtà non sono poi tanto sicuro che sia solo un guadagno, è di aver imparato a soffrire. Se la sofferenza è l’esperienza che viene da una ferita che si patisce, il mio apprendistato nel saper soffrire si è consolidato in diversi modi. Innanzitutto sono diventato meno vulnerabile. Le esperienze che nel passato mi laceravano oggi sono meno laceranti. Rimango più incolume, il che significa meno soggetto a sentirmi ferito da quel che mi accade di spiacevole, dannoso, avverso.
Altra abilità di cui mi sono dotato con il tempo rispetto alla sofferenza è di saper prevedere meglio gli eventi che mi potrebbero ferire. So evitarli, prevenirli, aggirarli con più destrezza di quanto ne fossi capace nel passato. Il che non solo significa evitare esperienze e situazioni che potrebbero volgere al peggio, ma anche trattenermi da sogni, desideri, aspettative che potrebbero facilmente abbattermi al suolo con conseguenti effetti di pena.
In breve, soffro meno perché sono meno sensibile agli effetti su di me delle relazioni nocive con il mondo e perché conosco meglio il futuro che mi potrebbe accadere. Come detto, non sono convinto che sia solo un guadagno.
Mentre sono del tutto sicuro che quel ho perduto ha lasciato un vuoto nostalgico. Mi sono lasciato alle spalle il sentimento della vita come mistero, come enigma da affrontare, come rebus da dipanare con parole e significati eccezionali. Prima di psicologia ho studiato filosofia e ricordo le ore trascorse con gli amici a chiederci quale fosse l’essenza dalla vita, a cimentarci con parole per noi nuove che riuscissero a dire il senso della vita, l’essere dell’esistenza. Ricordo l’anelito a capire dell’esistenza il suo irraggiungibile. Di quel tempo ho perduto un sentimento della vita come sfida, come grandezza segreta, che richiedeva uno sguardo assetato di trascendente.
Oggi appartengo quasi totalmente a una vita di grandezze minuscole, quelle dei sentimenti, delle emozioni, del quotidiano nel quale il “normale” riserva quasi sempre qualcosa di anormale. Forse mi sono avvicinato di più alla realtà della vita. Ma perdendo l’ingenuità un po’ fanatica ed esistenzialista che avevo ho perso anche un sentimento romantico ed eroico della vita come enigma.