La vergona è un’emozione culturale, è il prodotto del mondo a cui si appartiene che è stato incorporato nelle proprie emozioni.
Nel suo movimento psichico la vergogna precipita in un vissuto di mortificazione, di annichilimento causato da qualcosa che si è fatto, da un proprio comportamento vissuto come umiliante. Per quanto di certo si preferirebbe evitarla, la vergogna ha una funzione protettiva: è il prodotto psichico dedicato a proteggere il proprio bisogno vitale di essere inclusi e parte del mondo sociale a cui si appartiene. In ogni vergogna è presente una preoccupazione sociale, comunitaria.
Poiché nulla lascia un segno nel futuro tanto forte come una ferita, la vergogna è una lacerazione destinata ad essere ricordata. L’umiliazione che si prova ha lo scopo di prevenire nel futuro, attraverso la potente memoria del dolore, che si ripeta lo stesso modo di agire da cui ci si è sentiti mortificati. La vergogna avverte, con il suo bagaglio di pena, del rischio che si è corso di essere estromessi, allontanati, abbandonati, squalificati. Per questo l’accadimento viene marchiato da un dolore da ricordare, esperienza da non ripetere.
Sapersi vergognare non è per nulla un sentimento debole, anche se nel viverlo ci si sente deboli. Richiede all’opposto solide fondamenta nel sentirsi legati agli altri. Ci si vergogna, sentendo minacciato il proprio legame sociale, solo se si è incorporato un codice sociale, solo se si possiede un sentimento dei doveri verso gli altri affinché se ne possa ottenere un’appartenenza, una reciprocità.
L’esperienza dell’umiliazione e della mortificazione che inducono a vergognarsi sono la tangibile e attiva presenza nel proprio cuore di un alfabeto morale. Tanto più forte in chi ha forte un sentimento della propria responsabilità verso gli altri. Vergognarsi possiede la predisposizione a considerare il valore della relazione con l’Altro e le condizioni e i limiti a cui aderire per poterla preservare. Nella vergogna si fa sentire la propria identità che ha incluso l’autoregolazione della propria libertà, come condizione per ottenere il delicato equilibrio tra affermazione di sé e condivisione sociale ed affettiva con le persone. Nella vergogna parla la paura di aver danneggiato questo equilibrio a cui si aspira.
“Sei senza vergogna.” parrebbe invidiabile, di cui è esente dal timore del giudizio dell’altro, apparentemente proprietario di una libertà che non si preoccupa di raccogliere consenso e comprensione. Ma per essere privi di vergogna occorre aver estromesso da sé stessi il riconoscimento del ruolo dell’Altro nella propria legge identitaria. Senza vergogna si è anche spre-giudicati, privi di un’autoregolazione che ha misure e timori, di cui se ne riconosce la necessità per proteggere il proprio legame con gli altri, fatto anche di doveri, cautele e attenzioni.
Chi dice, magari con una nota di fierezza: “Io non mi vergogno mai” sta anche dicendo: “Tu verrai sempre dopo di me”.