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GianMaria Zapelli elsewhere

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L’abisso della vicinanza e la sorpresa

L’abisso della vicinanza e la sorpresa

Quant’è difficile gravitare nella vicinanza di un’altra persona. Perché essere vicini a qualcuno non è mai esperienza inerte, neutrale.
Che non ci sia possibile conoscere una persona interamente, in tutta la sua identità, è evidente, ma non solo perché ogni persona è Altro da noi, collocandosi in una distanza fuori da noi, anche quanto è minima, incolmabile, in una irriducibile estraneità. Non meno difficile è conoscere una persona quando le si è vicini, perché la vicinanza arruola e attiva emotivamente il proprio mondo psichico, le cui trame inconsapevoli indirizzano percezioni, pensieri e sentimenti.

Così, nella prossimità intima con qualcuno vi è fatalmente anche una lontananza, perché la vicinanza ha il potere di portare in scena percezioni, pensieri, emozioni, ferite e sorrisi della vita che già siamo stati e diventati, avvenuta ben prima di quella vicinanza in cui ci si trova. Sicché, non ci è possibile vedere una persona senza vederla attraverso i nostri occhi, rendendo inavvicinabile l’integra comprensione dell’Altro.

Sarebbe dunque da ammettere una componente di cecità inevitabile, rinunciando alla convinzione di poter o saper conoscere le persone a fondo e bene, soprattutto chi si ha più vicino, anche se la mente ci fa credere di aver compreso perfettamente chi sia l’Altro a cui siamo vicini. Da credere persino che bastino pochi minuti per sapere chi sia l’altra persona.
Questa ammissione non sarebbe però una perdita, se non del proprio bisogno di sicurezza e rassicurazione nelle proprie capacità, perché occorre la consapevolezza che vi sia, anche nella vicinanza, una sottrazione dell’Altro, una sua latitanza, per arricchire il proprio sguardo di vigilanza e cura, verso ciò che la certezza lascerebbe inesplorato.

Così, per quanto non sia esauribile la conoscenza di un’altra persona la si può espandere adottando nello sguardo la sorpresa. Invece che vedere ciò che già si è visto, invece che accettare di rivedere l’Altro nei modi che già si conoscono, spostare l’attenzione verso ciò che sorprende, perché non ancora colto, visto, osservato.

Ciò che ha di potente la sorpresa sulle nostre convinzioni, su ciò che portiamo con noi e ci precede, è di coglierci impreparati. Nella sorpresa vediamo qualcosa che non avevamo già previsto o conosciuto, costringendoci ad abbandonare lo sguardo abituale, per sottoporlo all’imprevisto.
Cercare nella vicinanza la sorpresa significa allora interrompere quel che già conosciamo, per concentrarsi sulla ricerca di ciò che non abbiamo ancora conosciuto della persona vicina: un gesto della mano o un modo di volgere il viso che non si era notato prima, un silenzio che pare diverso da quello già conosciuto, uno sguardo nel quale qualcosa pare inedito.

Pertanto, nella vicinanza con una persona, perché non sia inghiottita nel gorgo di ciò che si crede di aver compreso, perché possa conservare la sua irriducibile identità, aiuta lo sguardo che cerca sorprese, per conservare intatta la distanza che occorre ad ogni legame.

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