Lo sappiamo, attendere è tutt’altro che facile. Essere in attesa è esperienza disagevole, perché ci espone a un’apertura che indebolisce, a uno sbilanciamento proteso verso l’incertezza di ciò che potrà giungere. L’attesa è soglia che si apre e difese che si abbassano, speranza cui affidarsi. Nell’attesa l’io è altrove, in quel tempo che deve venire, in quell’incontro che deve accadere, in quel risultato che deve realizzarsi. Nell’attesa l’io si riconosce orfano, carente di quel di bello e di più che manca, e che si sta aspettando. Vi sono state culture che hanno vissuto di attesa, e la loro identità era fatta di attesa. Vi sono stati popoli uniti dall’attesa, che così è diventata progetto, impegno e dovere. L’essere in attesa, il saper essere in attesa, è un requisito per affrontare il futuro con un traguardo di evoluzione e cammino.
Quando invece cessa il saper essere in attesa, quando cessa il saper proiettare fuori e altrove qualcosa a cui siamo disponibili ad aprirci ed accogliere, quando cessa il coraggio dell’attesa, forse si spegne il futuro nel presente, in cui nulla vi è da attendere.