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GianMaria Zapelli elsewhere

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Preoccuparsi: bisogni ed eccessi di una mente in cerca di futuro

Preoccuparsi: bisogni ed eccessi di una mente in cerca di futuro

“La preoccupazione è come essere seduti su una sedia a dondolo, ci si muove sempre ma non si va da nessuna parte.” Mark Twain

E’ uno stato inevitabile occupare – pre-occupare – il nostro pensiero, dedicandosi a immaginare il futuro che potrebbe accaderci. Come sempre la differenza è nelle dosi e nella qualità.
Non si può vivere, per regole biologiche della mente, solo dell’attimo presente. Ancorché sia seducente l’idea e vi siano sostenitori – terrapiattisti neurobiologici – che ne propongano l’ideale. In realtà, la memoria con le sue esperienze, che incardina nelle reti sinaptiche, è fatta per offrirci costantemente previsioni di futuro e per tenercene all’erta.
Così la differenza non risiede nello sbarazzarsi della preoccupazione del futuro, per assecondare solo il presente, ma nel saper aiutare il tempo presente che si vive, con una compagnia equilibrata e benefica del futuro che immaginiamo, di cui ci pre-occupiamo.

Allora, potremmo chiederci quale sia il nostro bisogno di pensare e sentire il futuro. Quando ci tormenta, o solo ci affatica, con sentimenti di incertezza e timore? O quanto e quando invece ci appare esente dal dovercene occupare preventivamente?

Il nostro modo di rappresentarci il futuro è molto più l’esito del passato che abbiamo vissuto, di ciò che ci è accaduto, di quando sia condizionato dal presente che viviamo. Certo, i fatti effettivi del presente, del suo stato di incertezza, di imprevedibilità contribuiscono ai modi della nostra preoccupazione, ma è il contributo del sale ad una pietanza, il resto è tutto personale, e quindi riguarda soggettivamente noi stessi.

Il timore più o meno forte di non sapere cosa dovremo affrontare, il disagio più o meno sensibile nel non poter prevedere gli accadimenti che dovremo dover vivere nel lavoro, nei legami e nelle responsabilità, il rapporto con la sorpresa che costringe a istantanee azioni di adattamento, sono moti emotivi che hanno origini ben più remote del presente che si vive.
Distinguere potrebbe aiutare. Perché preoccuparsi è uno stato d’animo che dà e che toglie. Dà aiuto, nel non essere impreparati verso il futuro, creando le cautele per evitarci disagi e sofferenze che possono essere anticipati. La preoccupazione però toglie anche, perché logora, consuma energie psicologiche, frena il coraggio e la scoperta, limita le alternative verso cui si è disponibili.

Occorre allora una pedagogia delle nostre percezioni, da saper riconoscere quando il timore della preoccupazione precede i fatti che stiamo vivendo, avvolgendoli di un manto che li drammatizza. Per lasciarci invece l’utile di una preoccupazione che alimenta un timore ancorato e alimentato solo ed esclusivamente dai fatti del presente che si vive.
Ma è questo il difficile e paradossale governo della preoccupazione: saperci distanziare dalle emozioni verso i fatti che viviamo, per poterli comprendere per quel che sono, al fine di poterci avvalersi beneficamente dell’emozione intimorita e preventiva che ci viene dalla preoccupazione.

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