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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
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Gli specchi che incontriamo

Gli specchi che incontriamo

Gli altri sono anche uno specchio, riflettono e ci restituiscono la persona che siamo. 

Dunque, quanto la persona che ri-troviamo nei modi che gli altri hanno di agire con noi è totalmente la persona che pensiamo di essere?

Perché i modi di agire che gli altri hanno con noi sono sempre accordati ai nostri. Gli altri risentono e si avvalgono di ciò percepiscono e intercettano di chi siamo e come agiamo. Simpatia e antipatia corrono lungo le corde di ciò che avvicina e allontana, di modi che scaldano e modi che raffreddano. Espressioni che sfuggono sul viso, accenti e toni emotivi nella voce o nei gesti, mal celate presunzioni o superbie, oppure permalosità che irrigidiscono, o invece pacatezza accogliente. Caratteristiche che danno identità e sono personalità, modi che producono negli altri adattamenti comunicativi e relazionali differenti. Perché nessuno rimane indifferente, quando si entra nel radar dell’amigdala degli altri. Poiché l’amigdala, con il suo sistema di connotazione emotiva della realtà, si attiva sempre, in ogni circostanza in cui un altro essere umano è nei paraggi. Siamo predisposti a una sensibilità interrelazionale, che qualifica e caratterizza la nostra esperienza emotiva delle persone.

Perciò possiamo confrontare come pensiamo di essere, le capacità che pensiamo di avere, le qualità che crediamo di manifestare, ciò che vorremmo arrivasse agli altri di noi, che comprendessero di noi, con ciò che ci restituiscono attraverso i loro modi di comunicare con noi, di avvicinarci o di tenerci lontani, di confidarsi o di tenerci all’oscuro, di cercarci o di tenerci distanti. Possiamo mettere a fuoco i contenuti nei nostri specchi confrontandoli con quelli degli altri. Le persone che ci piacciano cercano noi o cercavano altri? Quando siamo in gruppo e qualcuno parla, si rivolge a noi o a qualcun altro? Ci cercano per sentire le nostre idee o cercano altri? Camminano vicini a noi o scelgono di camminare vicini ad altri? Siamo scelti o siamo tollerati? Quando parliamo otteniamo attenzione e sguardi ben concentrati su di noi, oppure solo silenzio mentre lo sguardo in realtà è assorto su altro? Otteniamo sorrisi facilmente oppure sono altri che ne hanno più di noi?

Potremmo convincerci di non essere capiti, che in questi specchi che abbiamo davanti agli occhi la persona che ci riflettono non sia chi siamo, che abbiamo qualità che richiedono di essere capite a fondo. Oppure potremmo stabilire un armistizio con le nostre difese psicologiche e accettare che in questo specchio ci siamo proprio noi, senza ma e senza però.

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