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GianMaria Zapelli elsewhere

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L’astuzia (spesso inconsapevole) del vittimismo

L’astuzia (spesso inconsapevole) del vittimismo

Sciaguratamente vi sono vittime senza che abbiano potuto evitarlo. Prevaricazioni, violenze, ingiustizie, subite senza alcuna possibilità di sfuggirne. 

Ben altra cosa è il vittimismo. Sentirsi una vittima non è sempre lo stesso che esserlo.

E’ del vittimismo indossare il ruolo della vittima in modo manipolatorio, opportunistico. Una camuffata strategia aggressiva.

Il modo vittimistico trasforma l’altro in un carnefice, in un aggressore, in un colpevole. Per ottenere di credersi in credito: di non essere stati compresi, di essere stati trascurati, di essere stati privati di un diritto. L’emozione vittimistica consente di elevare e celebrare se stessi, di chi dà ma non riceve in ugual modo, di chi si sforza ma non ottiene un meritato riconoscimento, di chi ha una giustizia dalla sua che non viene considerata.

La strategia del vittimismo, sovente inconscia, aggredisce colpendo basso, cercando di produrre nell’altro la mortificazione nel vedersi nel ruolo di aggressore. Per questo un fondamentale ingrediente del vittimismo è il non verbale. Il messaggio colpevolizzante viene rafforzato, teatralizzato, da gesti, toni e atteggiamenti che parodiano lo stato della vittima: voce bassa e dolorante, corpo che si contrae, ferito, persino lacrime. “Sto facendo tutto io.” “Ma potevi capirmi meglio” “In fondo ti ho solo detto il mio pensiero.”

Il ricatto vittimistico che estorce, attraverso la colpevolizzazione, attenzione e amore, si alimenta di un sentimento danneggiato dell’amore. Nel credere che il solo amore di cui si può essere destinatari sia quello estorto con un credito.

Sentirsi vittime non solo crea un stato personale di diritto, ma ottiene anche di affrancare dall’autocritica, dalla valutazione del proprio operato. La vittima ha sempre ragione, per definizione.

Così è preferibile vittimizzarsi, dolendosi di non avere ricevuto un grazie dopo tanto impegno profuso, piuttosto che chiedersi se in tutto quel darsi da fare non vi sia il bisogno di ottenere un sentimento di credito da rivendicare. E’ anche preferibile non sentirsi compresi, che interrogarsi chiedendosi se ai propri modi di comunicare manchino capacità di comprensibilità e attrattiva. Meglio sentirsi trascurati, sentirsi traditi, impugnando la spada della giustizia, piuttosto che imbattersi nella dolorosa consapevolezza che ce lo siamo cercato.

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