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GianMaria Zapelli elsewhere

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Attenzione, una rivoluzione dell’anima

Attenzione, una rivoluzione dell’anima

“L’attenzione è la preghiera naturale dell’anima.“ Walter Benjamin

Meravigliosa questa sintesi che ci ricorda cosa sia l’attenzione. 

Si può essere attenti per necessità di vigilare, per proteggersi, per salvaguardare se stessi, per non generare difficoltà, a sé o anche agli altri. 

E vi è un modo in cui essere attenti è una cura dell’anima, perché sospende l’automatismo dello scorrere, la trascuratezza verso ciò che si cela. 

Come la preghiera, l’attenzione ci mette in relazione con ciò che ci supera, che ci eccede, che richiede di sospendere quel che si conosce, quel che si sente, quel che si prova, per prestare attenzione.  Per dedicarsi a comprendere, accogliere e raccogliere ciò che altrimenti non potrebbe essere avvicinato, fuori da noi stessi. L’attenzione è prestata ad altro da sé. 

Come per la preghiera, nasce dal rispetto, dalla cura e dalla devozione verso ciò a cui è rivolta. E’ la capacità che nutre e alimenta l’anima. Perché per avere un’anima occorre includere e ospitare con la cura dell’attenzione ciò che ci rimane estraneo e distante: l’emozione riservata e taciuta, il gesto incerto e sospeso, il messaggio trattenuto dietro le parole. Possedere un’anima significa essere educati da un sentire attento. 

All’opposto, non vi è anima nell’agire frettoloso e reattivo, in relazione al mondo per ciò che è utile e occorre, avvalendosi di ciò che già si crede di conoscere.

Per questo, l’esperienza del tempo concentrato e prolungato dell’attenzione è un’azione sovversiva, rivoluzionaria. Perché libera il mondo dall’abitudine che ne abbiamo, lo sottrae dalla sua subalternità alle nostre certezze, consentendogli di rivelarsi nella sua illimitatezza. Nella cura dell’attenzione affranchiamo il mondo dalla sbrigatività del nostro sguardo che ha già risposte e convinzioni. Prestare attenzione è un gesto di insurrezione prima di tutto contro noi stessi, contro l’imperativo della nostra mente ostile alla passiva ricettività dell’attenzione.

Saper prestare attenzione richiede allora una disciplina, di sapersi trattenere e concentrare, frenando le risposte e prorogando le domande, arrestando le parole e dilatando il silenzio. Consentendoci così un tempo che ci consegna un’anima e ci insegna ad avere confini più vasti. 

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