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GianMaria Zapelli elsewhere

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Elogio della fuga

Elogio della fuga

Fuggire è deplorevole. Invece, fronteggiare e affrontare le difficoltà, non mostrare mai le spalle, è l’espressione più ammirata e celebrata di integrità e solidità. Perché fuggire è macchiato di codardia, di debolezza che danneggerebbe il valore di una persona.

Così, a volte anche attraverso una rimozione inconscia, si allontana da sé la fuga, temendone la perdita di autostima che porterebbe. Poter dire Io non fuggo mai inorgoglisce.
Senonché, “solo chi si apre una via di fuga, può fondare”. (Virno). Infatti, la cristianità è nata da una fuga. E’ dalla fuga dall’Egitto, guidata da Mosè, che si è generata una nuova storia, un nuovo futuro.

La fuga non è sempre e solo sottrazione alle proprie responsabilità, non è inequivocabilmente solo vigliaccheria. Vi è nel fuggire anche una possibilità generativa. Perché fuggendo scopriamo, incontriamo e viviamo del possibile nuovo. 

Nella fuga siamo costretti a percorrere nuove strade, nuove direzioni, esplorare territori inediti. Per questo vi è un saper fuggire, che richiede del coraggio. 

Vi sono pericoli da cui è meglio fuggire, che affrontarli. Non solo quelli che minacciano chiaramente la propria incolumità fisica. Altri pericoli invece sono meno manifesti, ma persino più nocivi ed esiziali. Scrive Leo Longanesi: “Vissero infelici, perché costava meno”.

Si portano con sé inutili bagagli di malessere, abitudini depauperanti, incrostazioni nei modi di agire che irrigidiscono nella ripetizione, anche quando non genera felicità e neppure un senso. 

La fuga è un abbandono che costringe il nostro sguardo a volgersi altrove, invece che sempre nella stessa direzione. Fuggendo ci giriamo su noi stessi e iniziamo a dirigerci verso una nuova meta, con prospettive inesplorate e scoperte da imparare.

Potremmo allora chiederci se in tanta condanna della fuga, in tanta riprovazione verso il sottrarsi, verso la diserzione, non vi sia anche un po’ di maligno e paradossale rancore. L’invidia e il livore verso verso chi ha la capacità e il coraggio di dire basta, di darsela a gambe levate, per andare verso nuovi orizzonti. Mentre chi non fugge mai, che si consola con l’orgoglio della propria persistenza, è costretto a stare sempre nella stessa direzione, anche quando fa male.

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