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GianMaria Zapelli elsewhere

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Defusione cognitiva. Essere meno schiavi dei nostri pensieri

Defusione cognitiva. Essere meno schiavi dei nostri pensieri

Il pensiero può trasformarsi a volte in un vampiro. Non possiamo interromperlo, come per il respiro o il battito del cuore. Incessante flusso, sovente carsico e sotterraneo, di percezioni, riflessioni, emozioni. Inarrestabile nell’attivare stati d’animo e le conseguenze di gioia, ma anche di ansia, dolore, pesantezza, sovraccarico. L’ordine biologico della sopravvivenza a cui risponde la mente richiede il pensiero, per la sua funzione interpretativa della realtà, necessaria a ottenere e indirizzare una risposta adattiva. 

Ma può essere sopraffazione, quando ci tormenta, quando ci perseguita paralizzandoci, quando ci incatena a immagini, preoccupazioni o convinzioni che ci affondano. Se non possiamo interrompere il pensare lo possiamo mettere sotto scacco. Quando ci addensa di fatiche, di ripetizioni, di reclusioni e siamo eccessivamente “fusi” e quindi confusi con i nostri pensieri. Quando chi siamo e quel che possiamo lo facciamo coincidere con i nostri pensieri, con-fondendo noi stessi con quel che pensiamo.

La nostra identità e le nostre possibilità hanno perimetri che si estendono ben oltre i limiti e i contenuti di quel che pensiamo. Siamo più vasti dei nostri pensieri. Senonché sovente i pensieri agiscono per restringere, per contenere, rimpicciolendo e contraendo il nostro sguardo, l’orizzonte della realtà, lo spazio delle possibilità. Ricorre nel pensiero, con la sua ostinazione carsica, con il suo moto automatizzato, di volerci mettere al riparo, di con-centrarci invece che di allargarci, di fissarci invece che di distrarci, di insistere invece che di desistere.

Ma per sottrarci dal potere dei pensieri depauperanti, immobilizzati nel loro eccesso di ansia, non aiuta cercare un contenuto che li sostituisca. Cercare ciò che potrebbe rimpiazzare un pensiero significa accreditare lo spazio emotivo di cui si è impossessato.

A volte ci occorre una “de-fusione” cognitiva. Ci alleggeriamo dalla morsa del pensiero se cambiamo la relazione con il suo potere, non con i suoi contenuti. Cambiando i nostri modi di identificarci nei nostri pensieri, di attribuire loro autorità e credito. Mutando il modo con cui siamo i nostri pensieri.

Ecco tre efficaci strategie di defusione cognitiva.

1. Ribellati al tuo pensiero e riducine l’importanza. Pensa “Ora mi siedo” e continua a camminare. Oppure in un incontro pensa: “Proprio non è il caso che dica la mia” e invece comunica quel che pensi. O ancora, pensa con convinzione: “Adesso devo alzarmi” e rimani a sedere. In breve, comprometti la sovranità del pensiero sulla tua libertà

2. Guarda e parla a te stess* in terza persona. Il pensiero interiore solitamente gode di un credito potente, soprattutto quando ci assale con ansia, timori o dolore. Facilmente avviene un’identificazione tra quel che possiamo con i pensieri che abbiamo. Si instaura una fusione con i nostri pensieri che rischia di inquinare emotivamente. Per ridurre l’identificazione psicologica con i propri pensieri, aiuta rivolgersi a sé stessi, nella conversazione interiore, usando la terza persona. Affrontare e raccontare quel che pensiamo come fosse di una persona altra, terza, di cui descriviamo i suoi vissuti. Rendiamo di altri i nostri pensieri per esserne più indipendenti.

3. Guarda e descrivi i tuoi pensieri come un oggetto. Un altro espediate che sottrae al pensiero la sua pressione è di considerare i propri pensieri come un oggetto da descrivere. Esporli e ripercorrerli come fossero un artefatto di cui vogliamo fare una descrizione anatomica ed empirica. Nessuna partecipazione emotiva, solo una descrizione che ricostruisce i nostri pensieri come fossero un dipinto, di cui raccontiamo quel che osserviamo, le forme, i volumi e i colori, non quel che ci fa provare.

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