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GianMaria Zapelli elsewhere

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Cercare colpevoli è un modo di credere nel proprio controllo sulla realtà

Cercare colpevoli è un modo di credere nel proprio controllo sulla realtà

Ci occorrono ragioni per spiegarci i comportamenti delle persone. Ma non solo. Preferiamo ragioni che escludono il caso, il fortuito, ovvero il caos.

Stiamo guidando e improvvisamente una vettura ci sorpassa in modo spericolato, dopo averci lampeggiato. Probabilmente il primo pensiero è un giudizio di condanna dell’autista. In questa istintiva condanna vi è una traccia psicologica importante: come tendiamo a spiegarci il comportamento degli altri. Perché attribuire il modo di agire delle persone alle loro capacità, alle loro attitudini, alla loro volontà è un indirizzo mentale ben diverso dal considerare altre ragioni, come, ad esempio nel caso dell’autista spericolato, un’emergenza o motivi estranei alla sua volontà. 

La nostra mente non è mai un investigatore neutrale della realtà. Lasciata ai suoi automatizzati meccanismi psicologici cerca sempre spiegazioni che abbiano un tornaconto per noi. Così, nello spiegarci i motivi dei comportamenti delle persone, si cura che via siano conseguenze psicologicamente benefiche, rassicuranti. Perché avere di un fenomeno una ragione è ben diverso che averne una causa. La ragione è una spiegazione che non generalizza, che rimane localizzata, non diventa norma della realtà. Una causa invece identifica una regola, una legge, una connessione che vale in assoluto, collegando un prima a un dopo, una motivazione a una conseguenza. Trovata una causa si esce dal caos, del caso, dall’indeterminato, perché si possiede una legge che mette ordine ai fenomeni, cementandoli in modo prevedibile.

È perciò facile che la mente preferisca le cause, convincendosi che i comportamenti siano l’effetto delll’autoderminazione e delll’autocontrollo delle persone. Una strategia che fornisce serenità psicologica, perché consente di applicare cause già classificate e ordinate nel valutare i comportamenti umani: “Si è dimenticato.” “Non si è impegnato abbastanza.” “Poteva stare più attento.”. Minimizzando invece, se non ignorando, ragioni che includono ciò che rimane fuori dal controllo umano: il caso, l’imprevedibile, che impediscono la possibilità di saldare inequivocabilmente l’azione umana a premesse prevedibili.

Credere nel predominio delle cause e nell’irrilevanza del caso consente il vissuto di un futuro che possiamo affrontare senza dovercene angosciare, perché privi di mezzi cognitivi e risorse per poterlo prevedere.

Ritroviamo in questo uno dei più delicati e irrisolvibili dilemmi dell’esistenza umana: quanto ciò che viviamo appartiene alle nostre scelte, ovvero quanto ne siamo la causa, e quanto in ciò che viviamo siamo marionette del caso? Perciò, nell’assegnare le cause alle azioni delle persone possiamo intercettare anche la nostra relazione con l’ignoto e il caso, e quando in noi sia presente come una minaccia.

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