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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
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L’insopprimibile conflitto, da saper vivere

L’insopprimibile conflitto, da saper vivere

L’esperienza del conflitto è ineludibile. L’identità si fonda sul conflitto, non meno di quanto abbia bisogno di amore e legami. L’alternativa che abbiamo non è se viverlo o no, non ci è dato di sottrarci al conflitto, di escluderlo dalla nostra vita. Quel che possiamo è dove localizzarlo e come viverlo.

Ogni vita possiede anche l’ingrediente del conflitto, perché è il mezzo psicologico, persino esistenziale, che obbliga e si impone per presidiare la distanza necessaria tra l’io e l’altro. Per assicurare il territorio indispensabile nel quale l’io è diverso dal tu e dal noi. 

Ancorché sia più confortevole il sentimento che ci lega e ci avvicina, nondimeno siano costretti anche al conflitto, ai sentimenti che ci oppongono, che ci allontanano, persino che aggrediscono. L’io ha bisogno non solo di unirsi, ma anche definirsi.

Dunque, riconoscere dove si localizza il nostro conflitto è fondamentale, per trovare una convivenza generativa e benefica

Perché può essere rimosso, complice l’inconscio, celato in una combustione interna che cerca risarcimenti. Occultato, il conflitto non scompare, ma circuita su sé stesso, tra forze interne che si contrappongono, mentre sulla scena delle relazioni è soffocato dal timore che possa uscire allo scoperto, compromettendo l’approvazione, l’amore e l’accoglienza di cui si ha troppo bisogno. 

Oppure può esplodere e riversarsi all’esterno, attraverso l’odio, che nel bisogno di sopprimere l’altro, attraverso uno dei tanti modi possibili, fisici e verbali, consente all’io di ottenere una celebrazione della propria potenza, della propria singolarità.

Il conflitto può trovare le sue eruzioni anche nell’irascibilità, nelle reazioni indispettite, risentite, irritate che costellano le proprie relazioni, ogni volta difendendo, proteggendo qualcosa di sé irriducibile all’altro o a una confusione sulla propria identità, sul proprio mondo di idee, convinzioni o affetti.

Sicché, laddove volessimo far pace con il conflitto, da cui siamo trattenuti e intrattenuti, non è psicologicamente benefico inseguire una pacificazione illimitata, una bontà sconfinata. Possiamo forzarlo al silenzio, ma non sopprimerlo. Preferibile invece una serena convivenza. 

Confliggiamo beneficamente quando ci opponiamo avvalendoci più del pensiero che delle emozioni. Quando crediamo in noi stessi e allo stesso tempo non così ciecamente da non avere dubbi. Quando sosteniamo e difendiamo le nostre idee, ma allo stesso tempo siamo attenti alle ragioni antagoniste. Confliggiamo e troviamo il nostro io più solido quando non temiamo la solitudine, senza però essere in fuga dagli altri. Quando sappiamo essere impopolari, senza sentirci poco capiti o danneggiati. Quando escludiamo o allontaniamo, ma non feriamo. Quando dire io non significa sentirsi vittime, ma semplicemente e naturalmente differenti.

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