Tra le tante espressioni che potrebbero sintetizzare l’impegno esistenziale con sé stessi una forse più di altre ne focalizza l’essenza: convivere, o meglio, con-vivere con sé stessi.
Forse la nostra dimensione esistenziale più specifica, ovvero umana, è lo sforzo incessante di tenere insieme, di riunire in una convivenza la molteplicità variegata e sovente in conflitto di ciò che ci compone e ci fa essere. Prima ancora del nostro impegno di convivenza con il mondo esterno, ci fonda e ci dirige il modo di convivere con il nostro mondo interno.
Non è solo vivere sé stessi, quasi si trattasse di mettere in atto un’identità unitaria e compatta che abbiamo a disposizione e che non richiede altro che essere vissuta. In realtà per essere, per impossessarci di un’identità, per vivere chi siamo e possiamo essere, ci occorre un costante sforzo di con-vivenza con noi stessi. Io è un pronome plurale. Ci occorre un impegno incessante dedicato a comporre, tenere insieme, far coesistere la nostra moltitudine. Chi siamo è l’esito di come facciamo coabitare in noi desideri, valori, speranze, timori, modi di essere, atteggiamenti, abitudini, che non alloggiano nel nostro mondo interiore come buoni e pacifici vicini. Tutte le parti di cui è composta la nostra identità, tutti i nostri bisogni e le nostre emozioni, tutte le tensioni che ci spingono anche in direzione opposte impongono di occuparci di come si affollano in noi.
La moltitudine che abbiamo in noi non può essere mai cancellata, né soppressa, quasi fosse una manifestazione transitoria o superabile. Non esiste la persona senza l’eterogeneità delle sue tensioni interne. Ed è quindi una semplificazione immaginare di poter raggiungere una conciliazione con sé che non richieda più lo sforzo di con-vivere con la propria pluralità impegnativa, contraddittoria e conflittuale. Aspirando a un idealizzato sé armonizzato, pacificato e liberato dalle tensioni richieste dalla con-vivenza.
Per questo, per l’insopprimibile e faticosa coesistenza in noi di diversità, riuscire a trovare una coabitazione tra le molteplici parti di sé è un impegno che può rivelarsi faticoso, doloroso, anche lacerante. A volte così tormentoso e destabilizzante da lasciarne l’onere all’inconscio, alle sue strategie che a nostra insaputa cercano di far coabitare in noi contenuti che si azzuffano. Perché nella gestione della nostra con-vivenza ciò che non viene affrontato attraverso il lavoro della consapevolezza non si cancella mai, ma si sposta nel carsico territorio psichico dell’inconscio.
Pertanto, se è ineludibile un mondo identitario controverso, plurale, frammentato, ciò che cambiano sono i modi attraverso cui ciascuno cerca di conviverci e di ottenere una con-vivenza. Da chi lo riduce e lo semplifica, lasciandolo nel sottosuolo della psiche, a chi lo affronta, cercando un equilibrio vitale e autentico nel convivere con quel che di sé cerca il sacro e quel che di sé cerca il profano, ciò che si ha di buio e quel che si ha di luce, di generosità e di antagonismo, di pace e di aggressività, di amore e di odio.