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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
per una vita consapevole,
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La forma della nostra dignità

La forma della nostra dignità

Perdere dignità forse è lo sprofondamento più doloroso. Il saccheggiamento del rispetto per sé stessi. È indispensabile la percezione della propria dignità, per sapersi più forti del caos delle componenti più scomposte di sé, con le loro voragini di abbruttimento nelle emozioni senza regolazione, negli istinti senza direzione, in un sé senza ordine e decenza. Si perde dignità quando si smarrisce il timone nel condurre sé stessi, dentro le tempeste delle sconfitte, delle rese, della codardia. Quando la forza delle proprie emozioni distruttive, vigliacche e umilianti non viene governata e regolata dalle capacità di tenerle a freno.

Le persone possono rispettare, come possono mortificare o ferire la dignità degli altri, ma questa dotazione vitale nella maggior parte delle circostanze è nelle mani del suo titolare. Perché quasi sempre la dignità si perde, si smarrisce o vi si rinuncia per moto proprio. Poiché la natura specifica della dignità è di essere l’estremo baluardo della propria libertà. La dignità riguarda quei contenuti di sé che nessun’altro può dominare, violare o compromettere. Nelle dignità si concentra il sigillo della propria indipendenza, d’essere non solo natura, ma soggetto che può sottrarsi al dominio dell’ignoto, del caso, dell’irrazionale, della prepotenza delle emozioni, per affermare un’inviolabilità, che nessuno e niente può sottomettere. Per questo è quasi impossibile togliere dignità a una persona senza che vi concorra anche lei, poiché la dignità è il residuo inaccessibile dell’autodeterminazione.

Di quale materia è composto questo nocciolo duro della franchigia e della sovranità dell’io? Dei propri pensieri e dei modi di dare forma e misura alla propria comunicazione. Ciò di cui si è sempre totalmente e illimitatamente liberi di essere è la forma che si dà a sé stessi. Se è impossibile imprimere totalmente la propria impronta sul mondo che si ha intorno, sul futuro e sul caso, è inespugnabile la possibilità di controllare le proprie riflessioni, i propri gesti, le proprie parole, la postura del corpo e le proprie manifestazioni emotive. La libertà più radicale che si ha disposizione è la libertà dei propri comportamenti. Perché nel comportamento, nel controllo dei propri modi, si afferma la capacità di sapersi tenere distanti dalle emozioni che depauperano, dalle reazioni dissestate e dagli smarrimenti a cui è sensibile la mente, per conservare indipendenza nella dignità di un gesto controllato, di una risposta gentile.

Per questo è drammatico perdere dignità, perché si danneggia l’essenza ultima dell’essere umani: la libertà etica di controllare i modi di comportarsi. All’opposto di un’idea di libertà come assenza di ogni forma e misura, di ogni autocontrollo, la dignità ci ricorda che è nei modi di regolarci e controllarci che affermiamo di essere liberi. Indipendenti dalla povertà di emozioni che si impongono con la loro rabbia, con la loro viltà, con la loro disperazione. Nella dignità, nei modi di comunicare con sé e con gli altri, si afferma la libertà più importante, di essere liberi da sé stessi.

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