Il primatologo Frans de Waal ha messo due scimmie cappuccine in due gabbie adiacenti, in modo che ognuna potesse ben vedere tutto quello che stava facendo l’altra. Poi è stato insegnato loro di restituire delle pietre che venivano introdotte in ogni gabbia. Ogni volta ciascuna scimmia riceveva come ricompensa un pezzo di cetriolo, che mangiavano soddisfatte e golose. Dopo qualche scambio, a una delle due scimmie quando riconsegnava la pietra veniva dato un grappolo d’uva e all’altra ancora il cetriolo. Quest’ultima prima soddisfatta nel gustarsi il cetriolo è diventata furente.
Dunque sembrerebbe che anche nei primati, e negli animali dal cervello più simile al nostro, sia presente una funzione morale che presidia l’egualitarismo. Nella relazione con gli altri è esigenza inderogabile sentirsi considerati alla pari, tanto da modificare e dominare i sentimenti di soddisfazione delle esperienze che si vivono. Il che significa che la difesa e il riconoscimento della propria uguaglianza nell’appartenenza sociale è un bisogno vitale, profondamente connesso al sentimento della propria sopravvivenza. Poiché la singolarità, senza l’accoglienza nella comunità, senza il riconoscimento nell’equità di un noi inclusivo, è molto più fragile e vulnerabile
Un altro esperimento è stato condotto molte volte con il medesimo risultato, questa volta con gli esseri umani. Due persone sono state coinvolte in questa situazione. A una delle due sono stati consegnati 100 dollari con il compito di decidere del tutto liberamente e autonomamente come suddividerli con l’altra persona. Chi avrebbe ricevuto la quota dei 100 dollari ripartita avrebbe potuto solo accettarla o rifiutarla. Se l’avesse rifiutata nessuno dei due avrebbe ricevuto nulla. Se venisse adottata solo una prospettiva razionale, chi si trova nel ruolo del destinatario di una scelta a cui non può partecipare, dovrebbe accettare qualsiasi somma che l’altra persona è libera di spartire, anche fosse solo un dollaro dei 100, poiché un dollaro è pur sempre più di zero. In realtà pochissimi sono stati disponibili ad accettare una somma che non ritenevano equa nella spartizione. E non è tutto. Anche chi aveva il potere di decidere la ripartizione ha immaginato la resistenza dell’altra persona ad accettare una somma troppo bassa, pur essendo sempre più di nulla. Prevedendo perciò che non avrebbe applicato un’analisi razionale dei profitti e delle perdite, ha proposto distribuzioni molto più “eque”.
Dunque siamo predisposti neurologicamente e anche psichicamente per l’eguaglianza, radicata in noi come necessità biologica. Tanto forte da subordinarvi anche il buon senso dell’opportunità, a volte anche la propria vita.
Senonché appare anche evidente quanta ineguaglianza, discriminazione e ingiustizia siano realtà quotidiana con cui dobbiamo convivere. Sicché quel che sembra affermarsi è una schizofrenia dell’equità: siamo molto esigenti e severi nell’attendercela nelle nostre relazioni in piccolo gruppo, quelle in cui siamo facilmente attori e protagonisti. Ma più facilmente ripieghiamo nel malessere e nell’insoddisfazione come cittadini di ineguaglianze e ingiustizie che vediamo compiersi nella dimensione più grande della collettività o nella nazione. Ingiustizie e ineguaglianze che a volte producono solo il gesto risentito della rabbia.