L’io che si prende cura

L’io che si prende cura

Prendersi cura è un gesto umano indispensabile. Abbiamo una costituzionale e psicologica necessità di esperienze della cura, dell’impegno dedicato a sorvegliare, sviluppare, accudire, dedicarsi a qualcuno o qualcosa. Il nostro bisogno di aver cura è il bisogno di sperimentare la nostra capacità di ottenere qualcosa di ben fatto, di ammirevole. Attraverso la cura che mettiamo nei nostri gesti incontriamo il piacere di sentirci autori. Soprattutto attraverso la cura delle persone che amiamo, ma anche degli amici, delle piante, della casa, degli oggetti che si possiedono o delle attività che si affrontano.

Il complemento della cura non è la malattia, o il disagio. Non occorre che vi sia una sofferenza perché nasca un gesto di cura. “Avere cura di” o “prendersi cura di” è un atto di moltiplicazione di noi stessi. Qualcuno o qualcosa diventa per noi un impegno di cura. Praticare esperienze di cura è fondamentale perché ci connette con un vissuto di ben-essere, ci consente di rispecchiarci in ciò che otteniamo e ricavarne un sentimento di gratificazione per chi siamo e per ciò di cui siamo capaci. 

Un’esperienza della cura consente di vivere diverse componenti virtuose e benefiche, è un tonificante identitario.

Nella cura è presente il desiderio. Prenderci cura di qualcuno o qualcosa nasce da un desiderio. La presenza di un desiderio nel cuore proietta in uno slancio generativo, è piacere di dirigersi oltre i confini in cui ci si trova.

Dove vi è cura vi è amore. Ciò di cui ci si prende cura è investito di affettività. La cura consente l’espressione di un bisogno indispensabile del cuore, perché attraverso l’esperienza dell’amore l’io si lega e trova sé anche fuori di sé.

Inoltre la cura richiede dedizione, attenzione e costanza; modi di agire che temprano di capacità preziose e virtuose. Nell’atto della cura abbiamo attenzione, vigilanza e precisione che ci fanno sentire al meglio di noi stessi. Quando ci pendiamo cura di qualcuno o qualcosa non siamo trascurati, non ci stiamo trascurando, ma siamo euforici delle nostre qualità di attenzione.

Possiamo dunque chiederci dove e quando mettiamo della cura in ciò che facciamo? Chi e cosa è destinatario delle nostre cure, della precisone dei nostri gesti, della nostra attenzione e delle nostre sensibilità?

Si potrebbe anche immaginare che la cura di cui le persone sono capaci e che praticano possa essere non solo una mappa psicologica, ma anche sociale. Forse potrebbe essere una differenziazione che aiuta a comprendere forme del presente, e possibile futuro, osservare ciò di cui le persone hanno desiderio e amore nelle loro cure. Differenze che troviamo nell’educazione dei figli, perché ogni educazione è anche indirizzo verso ciò di cui avere cura. Differenze che vediamo nel modo con cui si ha cura di ciò che si possiede e di ciò che è di altri. Come vediamo forme diverse di cura negli oggetti che si desiderano, si amano, si accudiscono e in quelli che si abbandonano o si trascurano. Forse abbiamo diversità più profonde delle idee che facciamo nostre, forse abbiamo diversità che sono nei modi del cuore di prendersi cura. Perché nella cura si trova ciò che il nostro cuore desidera rendere migliore.

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