La mente ha bisogno di certezze. Per lo più le trova facendosi guidare da quel che conosce e soprattutto dalle esperienze dolorose vissute. Così vi sono certezze ancorate alla tangibilità di quel che si vede, si tocca, si ascolta. Certezze utili, pragmatiche, che a volte diventano ciniche e rassegnate. Perché i fatti sono magri, sovente sono duri, plasmati dalle delusioni e dai fallimenti. Queste certezze, concrete e realistiche, consentono di stare con i piedi per terra, di mantenersi ben saldi nel ring di ciò che si sa prevedere. Così, è facile che si guardi al di fuori di questo perimento, di questo recinto protetto, con un sentimento di disperazione, rassegnazione e sfiducia. Perché richiederebbe di sperare, di credere in qualcosa di cui non si ha sicurezza, solo indizi e necessità.
La speranza è un fondamentale ingrediente psicologico nell’indirizzare la propria vita e in ciò che se ne ottiene di identità e felicità.
Il sentimento della speranza non riguarda il futuro, ma il presente, come nel presente ci si prepara al futuro. Nello sperare si prende possesso del futuro per decidere cosa fare del presente, credendo che possa accadere domani quel che oggi si dispone. Per questo, la speranza allarga i confini contratti del presente, estende lo spazio del desiderio, e della realizzazione di sé stessi, oltre il qui e ora. Coltivare speranze consente ai desideri di avere il respiro del tempo, di poter fare strada andando più lontano dell’adesso.
Naturalmente la speranza non è un dono esente da rischi. Poiché del futuro non si può avere alcuna certezza, la speranza collocandovi dei desideri corre il rischio del fallimento, della delusione. E una speranza, che ha alimentato immaginario e slancio, attese e fantasie, quando vien abortita si trasforma in lacerazione, in ferita dolorosa, per la rinuncia a un desiderio che si era prolungato e collocato nel futuro.
Il dolore di una speranza disillusa è tagliente e può essere insopportabile. Infatti, la capacità di saper affrontare l’eventuale lutto di una speranza naufragata è il principale carburante dello sperare. Tanto più si rimane feriti e abbattuti, disarmati dalla sofferenza di una speranza che si non si realizza, maggiore saranno le difese a cui ricorrerà la nostra psiche per scoraggiarci dall’alimentare desideri e impegni proiettati nel futuro. Perché disperare, ancorché rinchiuda la vita nel presente, non corre il rischio di patire il profondo dolore di un futuro che non si avvera come lo si era coltivato.
Per questo, essere capaci di sperare, saper vivere sogni e significati oltre il proprio presente, richiede una relazione serena e benevola con la propria fragilità, con l’esperienza del fallimento e della perdita. Prendendosi cura della propria solidità emotiva, come condizione per non frantumarsi nel dolore di una speranza che non si realizza.
Ricevi la Newsletter settimanale di ELSEWHERE, clicca qui