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GianMaria Zapelli elsewhere

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Il risarcimento tossico dell’odio

Il risarcimento tossico dell’odio

Come sappiamo, psicologicamente nulla ci accade a caso, soprattutto non sono casuali le emozioni che ci imbrogliano. Ad agire nelle emozioni vi sono sempre ragioni a cui il cuore aspira, bisogni che dirigono le azioni. Perciò anche l’odio, per quanto deleterio e aberrante, è animato da ragioni che cercano di dissetare un bisogno.

L’odio, in qualunque forma, è un meccanismo difensivo. Scatena aggressività. E come per la fuga, anche l’aggressione è una strategia di protezione, di sopravvivenza. Ma se le radici sono simili, ben diverse sono le piante che si sviluppano dall’odio. Alcune forse necessarie, altre mefitiche e devastanti.

Si può odiare chi ci ha sottratto libertà o la vita di persone amate, desiderare loro soppressione, fisica o carceraria, per ristabilire in parte un sentimento di regole e giustizia che ci occorre per continuare a credere nel futuro.

Ma vi è anche un odio tossico, come lo può essere una tossicodipendenza. E’ un odio che arriva prima del nemico, del soggetto verso cui scaricarsi. Si ha bisogno di odiare, poi si trova chi e ci si scatena.

Odiare trasporta e imprigiona in uno stato di esaltazione nociva. Odiare incorpora – diventando corporeità violenta – un desiderio mortale, che spinge all’effrazione delle regole. Una trasgressione aggressiva dei confini che contengono la convivenza sociale, libera dalle limitazioni e dalla legge. Odiare colloca fuori dalle dimensioni umane dell’autoregolazione. Scagliato verso la soppressione violenta dell’altro, rende dis-umani. Una condizione che è la più prossima, per questo intossicante, a quella divina, onnipotente, a cui sola è consentito di dominare la vita e la morte, senza esserne sottoposta. La sottomissione alla mortalità e ai suoi doveri è invece la condizione umana della co-esistenza. 

Intossicarsi di odio può essere allora una sorta di orribile risarcimento psicologico. Il bisogno debole dei deboli, di chi ha visto o vede la vita andare da un’altra parte. Di chi è recluso in un sentimento di inferiorità, di marginalità, di insignificanza. Di chi non ha altro che odiare, per ottenere un’esperienza di unicità, un’onnipotenza malata, nell’euforia trasgressiva delle leggi della finitudine, della vulnerabilità umana. L’odio trova varchi e aperture nel cuore dell’indigenza. Indigenza di linguaggi e cultura, di capacità ed eticità, di soddisfazioni e autostima.

Non è una giustificazione dell’odio, ma non possiamo considerarlo solo il gesto terribile di singolarità umane, senza riguardare il mondo che le circonda. L’odio è sovente un prodotto sociale, si nutre di sogni delusi, di scolarità insufficiente, di ambizioni male educate, di disoccupazione e precarietà. Anche di pessimi genitori.

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