L’osservazione delle persone che sfioriamo, che non rientrano nel perimetro del nostro affetto o dei compiti che stiamo affrontando, è uno sforzo oneroso, selettivo. Sovente è un’azione spontanea, automatizzata, priva di riesame. Otteniamo un responso dallo sguardo e da lì partiamo, per lo più senza considerare le alternative che avremmo potuto avere negli occhi, di vita da raccogliere. Vediamo dei gesti, ci raggiungono delle parole, raccogliamo le nostre percezioni, quasi fossero materia neutra, a cui poi affidarsi con i nostri pensieri e riflessioni. Eppure, lo sappiamo, lo sguardo non è mai neutro, ma ci consegna a un mondo che elabora prima ancora di pensarlo.
Una delle più benefiche funzioni che ci mette a disposizione l’osservazione degli altri è il perfezionamento della conoscenza di sé stessi.
Se conoscersi riguarda la consapevolezza, la conoscenza di ciò che ci è ancora ignoto di noi stessi, è richiesta allora esplorazione, indagine di sé, per trovare ciò che ci è al momento celato, ma pur ci riguarda e ci segna. Affacciati sull’oceano della nostra identità, conoscere meglio sé non significa impossessarsi di aspetti generici, grossolani, ma di dettegli e particolari. Perché nel generico siamo tutti simili, mentre è nel dettaglio, nella minuzia, di un gesto, di una parola, di un’emozione che racchiudiamo la nostra specificità.
Osservare gli altri è per questo una potente lente per accrescere la consapevolezza di sé. Siamo in coda alla cassa di un supermercato, ci precede una persona che non ci pare molto diversa da noi, prendiamo possesso del nostro sguardo e la osserviamo mentre paga il cassiere. Simile a noi, ma non uguale. Nella gentilezza, nelle parole che usa, nei gesti di raccogliere la spesa. Eccolo, a nostra disposizione, uno specchio, nel quale possiamo ben distinguere i dettagli della nostra differenza. Perché, in quella persona sconosciuta, pur simile a noi, riconosciamo anche rifiniture migliori, di ciò che noi possediamo nei nostri modi di essere. Piccole perfezioni che ci mancano e, chissà, grazie a questa consapevolezza, impadronircene.
Mancherebbe molto alla consapevolezza di sé stessi se non osservassimo negli altri i dettagli della nostra differenza. Non si tratta di giudicare, o di essere guidati dall’impronta emotiva che suscitano in noi le persone. Ma di adottare uno sguardo fenomenologico, che si ferma ai fatti che osserva, alle espressioni sul volto, al tono della voce, al movimento dei gesti, per cercare dove vi sia uguaglianza o differenza con noi. Perché da soli possiamo arrivare a comprendere di essere gentili, appassionati o disponibili. Ma solo osservando la gentilezza degli altri, la passione che hanno nello sguardo e nella comunicazione, la loro disponibilità anche con le persone odiose, solo esercitando questo sguardo attendo ai dettagli, accediamo a una versione più accurata della nostra identità.