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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
per una vita consapevole,
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L’irresistibile necessità di punire

L’irresistibile necessità di punire

Sentirsi, poco o tanto, feriti, danneggiati è una componente ineludibile e inesorabile della vita. Si impara la sofferenza molto prima di possedere le capacità di poterla elaborare con una riflessione. La si apprende subito, direttamente sulla pelle, un apprendimento che arriva a fondo nel cuore, senza filtri cognitivi. Perché già nascere è perdita, smarrimento, del paradiso felice, protetto, sicuro nel quale non si percepivano carenze o mancanze: il grembo materno. Nascere è insufficienza che reclama affetto, cibo, attenzione e impara che non sono illimitatamente e incondizionatamente disponibili e accessibili. Sicché la natura, con le sue difensive attrezzature neuronali e psichiche, ha previsto l’inevitabile della sofferenza, che è quasi sempre un danneggiamento che patiscono i nostri bisogni. E dove vi è il nostro cuore che soffre vi è sempre in atto, più o  meno consapevolmente, un processo di protezione, di soccorso, che cerca di sanificare e riprendersi dal dolore vissuto.

Tra le tante sofferenze che si possono patire vi sono quelle che riteniamo ci siano state causate dagli altri, dalle loro scelte o dal loro comportamento. In questi casi è frequente il bisogno di punizione.

Punire è un meccanismo che reclama attenzione non solo per occuparsi dei comportamenti che hanno infranto le leggi della coesistenza sociale e civile. Punire esige soddisfazioni anche quando il proprio dolore è difficilmente riconducibile a un’universalità della giustizia. Così possiamo sentire il bisogno di punire chi non ci ha compreso, chi ci ha reso invisibili con la sua arroganza, chi abbiamo scoperto mentirci o chi è arrivato in ritardo a un appuntamento. E siamo anche astuti nelle nostre punizioni. Perché non sempre sono esplicite, dichiarate. A volte sono silenzi che si protraggono, sorrisi che scompaiono dal viso, precise parole che compaiono nelle nostre frasi, quasi casualmente, a trafiggere chi ci ascolta. Abbiamo bisogno di impartire una pena a chi ci ha fatto, poco o tanto, soffrire.

La caratteristica fondamentale che deve possedere la punizione, che irresistibilmente si ha bisogno di somministrare, ancor più della sua equità, sempre che si possa stabilire, è l’evidenza del suo  effetto. Non vi è castigo che dia soddisfazioni, che emendi la sofferenza, se non se ne vedono gli effetti. Non solo abbiamo bisogno di punire, ma soprattutto di assistere al prodotto della punizione. Perché è solo l’evidenza di aver lasciato un segno con la punizione, la percezione che nel destinatario si sia prodotta una sofferenza, ancorché lieve, che può contribuire a placare il malessere vissuto.

Vittime di una sofferenza che ci ha resi impotenti, dipendenti, subalterni al potere di qualcuno di lasciare un segno su di noi, la punizione ci consente di ristabilire un equilibrio, di restaurare un sentimento della nostra autonomia e del nostro potere sulla realtà, assistendo alla sofferenza che siano stati capaci di produrre. Ripristiniamo e difendiamo un sentimento di indipendenza dal mondo con la soddisfazione compensativa di sentirci capaci di ferire, più o meno quanto il mondo fa con noi.

 

 

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