Jung ha scritto: “Tutto ciò che ci irrita negli altri può portarci a capire noi stessi”. E l’arroganza irrita, anche molto.
Certo, vi sono forme di arroganza ingiustificabili, che disprezzano il rispetto degli altri, che prevaricano e spadroneggiano. Ma è anche vero che l’arroganza ha intensità e modulazioni molto differenti, sovente senza diventare scorretta o aggressiva.
Nella nostra relazione con la versatilità dei modi arroganti, nel reagire ed essere sensibili alle tante espressioni dell’arroganza, potremmo riconosce una differenza che può dare da pensare su sé stessi. Poiché non è uguale in tutti il sentimento di irritazione e fastidio verso la manifestazione dei modi arroganti. Se è quasi unanime la condanna dell’arroganza più tracotante, che spregia le regole di civiltà e convivenza, vi sono altri modi, meno clamorosi e sfacciati, che risultano fastidiosi ad alcuni, mentre altri ne rimangono totalmente indifferenti.
Non necessariamente l’arrogante è maleducato, scorretto o violento. È riconoscibile un’arroganza anche solo nel dire le proprie idee durante una riunione, o nel parlare a un cameriere in un ristorante. E vi è chi soffre l’arroganza intercettandola in un modo di parlare, in una postura del corpo, in un disinteresse ad ascoltare gli altri, nella sicurezza con cui si affermano le proprie idee. Forme di arroganza che non offendono o prevaricano, ma che in molte persone producono un rumore nel cuore, un fastidio.
Poiché non vi sono emozioni senza una ragione, quelle negative, come l’antipatia o l’insofferenza, hanno sempre come ragione l’intenzione di proteggerci, di allontanarci da esperienze disagevoli o dolorose. Sicché, come suggerisce Jung, ci si potrebbe chiedere cosa potremmo capire di noi stessi quando il nostro cuore ha un moto di avversione verso chi ci pare arrogante, anche quando non compie un sopruso, ma è prodotto dal suo modo di parlare e di esporre le proprie idee, oppure perché è palese il suo disinteresse per le opinioni degli altri. Perché anche l’arroganza innocua, non riprovevole eticamente, suscita un fastidio epidermico, attivando il sistema emotivo inconscio e automatizzato che se ne allontana con il disprezzo o il biasimo?
Può essere che nella cifra distintiva dell’arrogante sia presente qualcosa che la nostra psiche vive come minaccioso, come disagevole, da provocare un’emozione difensiva, come il fastidio o il rifiuto.
Quale, perciò, la peculiarità dell’arroganza, che muove reazioni emotive inconsciamente difensive? In misura maggiore o minore ricorre nel modo arrogante un peculiare atteggiamento verso gli altri, una postura emotiva, quella dell’impermeabilità, dell’indifferenza all’opinione delle persone. Lo stile dell’arroganza è di occupare lo spazio relazionale, di impossessarsi dell’attenzione degli altri, di esprimere le proprie idee, senza mostrare di aver bisogno di consenso, di approvazione. Di non curarsi dell’irritazione che potrebbe produrre.
Si può ipotizzare che l’irritazione che sorge alla vista dall’arrogante possa essere un allontanamento cautelativo dell’inconscio. Perché il fastidio che producono gli arroganti, nei loro modi superbi e altezzosi, infischiandosene dell’opinione degli altri, potrebbe essere la difesa che adottiamo respingendo lo specchio che possono fornirci delle nostre debolezze. Perché nel loro fastidioso eccesso di sicurezza in sé si potrebbe rispecchiare ciò che a noi manca. Noi che invece sorvegliamo e adattiamo i nostri desideri, i nostri modi di comunicare, il nostro cuore al bisogno di piacere agli altri, al bisogno di essere approvati, amati e accettati. L’arroganza, con la sua indipendenza dal bisogno di piacere, dal timore di sbagliare, tocca fastidiosamente la nostra eccessiva arrendevolezza, la troppa timidezza, il sacrificio che consumiamo della nostra libertà d’essere e di esprimete noi stessi. Così la nostra psiche ci protegge da questo faccia-faccia con la nostra dipendenza dal giudizio degli altri, nascondercelo con l’anti-patia, che disinnesca e allontana l’arrogante, riducendolo a persona scorretta, maleducata e deplorevole.