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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
per una vita consapevole,
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Il dispiacere di deludere. Ma chi?

Il dispiacere di deludere. Ma chi?

Deludere qualcuno è un vissuto disagevole. Soprattutto chi amiamo, stimiamo, o anche chi abbiamo incluso nel perimetro delle relazioni a cui prestiamo attenzione.

Evitare il disagio di sentirci causa di una delusione può essere tanto forte da indurci a eludere scelte e desideri pur di prevenirne la possibilità. Oppure, a subordinarci a modi di agire che ci evitano di incappare nel moto di un animo che abbiamo deluso.

Eppure il timore di deludere, che contrae e limita le nostre scelte, porta con sé invisibili ragioni del cuore, che celano nella delusione la sua funzione protettiva. In altre parole, vi è una complicità meno nobile di quanto ci si dica tra il timore di deludere gli altri e le ragioni che producono negli altri una delusione.

Consideriamo la delusione. Sentirsi delusi da qualcuno è sovente un modo per sottrarsi a se stessi: le persone sono più propense a essere deluse che ammettere di essersi sbagliate nelle loro aspettative.

La mente non può evitare di immaginare il futuro, di crearsene un’aspettativa. E’ un bisogno di controllo e di sicurezza, poter prefigurare ciò che potrebbe succedere. Così quando il futuro atteso non si realizza, ad esempio, nei modi di agire che ci attendiamo dagli altri, sopraggiunge la delusione, con il suo scopo protettivo, rassicurante. Perché consente la convinzione di additare un responsabile, che non ha fatto quanto era giusto attendersi. La delusione conforta, perché occulta l’incapacità di non essere stati incapaci di comprendere e prevedere il futuro. La delusione legittima le proprie aspettative, rendendole giuste e ragionevoli. Piuttosto che ammettere di aver avuto attese che non hanno saputo comprendere o accogliere la realtà, meglio essere delusi di un mondo che non fa quel che dovrebbe.

Dunque patire eccessivamente la possibilità di deludere gli altri collude e conferma il bisogno degli altri di nascondersi la loro incapacità di capire, comprendere e ascoltare. Una collusione che ci induce a ripiegare noi stessi sugli altri, anche quando ciò che si attendono non è doveroso e limita le nostra possibilità di essere.

Ma la nostra prigionia nel timore di deludere gli altri si alimenta di catene persino più severe. Sono le catene di ciò che vogliamo vedere riflesso di noi stessi negli occhi degli altri. Gli altri agiscono con noi guidati dalle idee e le opinioni che si sono fatti di noi. Nei modi di agire che hanno con noi ci viene riconsegnata incessantemente la nostra identità, come in uno specchio. Ci riconsegnano quanto siamo credibili, preparati, capaci. Il loro sguardo ci restituisce chi siamo.

Perciò, imbatterci nello sguardo deluso degli altri è ferita che vorremmo evitare, perché ci costringe a una consapevolezza di noi stessi, a un rispecchiamento che ci racconta, attraverso lo sguardo degli altri, chi siamo in realtà. Un incontro che temiamo a tal punto da nascondendolo sotto il timore di deludere gli altri, di non essere all’altezza delle aspettative degli altri. Celando a noi stessi il ben più penoso timore di deludere noi stessi, temendo di vedere negli occhi degli altri la persona che siamo e non quella che abbiamo creduto essere o ci piacerebbe essere.

PS: Certo, ci rimane sempre la possibilità della medicamentosa convinzione di non essere stati capiti.

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