Saper rimanere nel qui ed ora, dedicarsi al qui e ora parrebbe un atteggiamento esistenziale preferibile, più pieno, e persino più congeniale alla felicità.
Per quanto intuitivamente comprensibile e persino seducente, rappresentarsi il qui e ora come un’esperienza nella quale lasciar fuori il là e l’allora, per dedicarsi esclusivamente all’adesso di quel che si vive, porta con sé ovvietà e impoverimento.
L’ovvietà. Non esiste altra esperienza che nel qui e ora. Tutta la vita che si vive avviene solo nell’adesso e si sviluppa nel tempo sempre e solo nella successione del presente. In altre parole, non è una scelta il qui e ora, è la condizione unica di esistenza della coscienza, che è esperienza solo e costantemente nel qui e ora del presente. Ed è solo nel presente che compare il ricordo e la rappresentazione del futuro.
L’impoverimento. Nella concezione di una vita che sarebbe più pienamente e felicemente vissuta se purificasse il qui e ora si adotta la convinzione che il qui e ora possa essere svuotato da un contenuto estraneo, che lo danneggerebbe e nuocerebbe al suo pieno godimento. Una prospettiva psicologicamente inverosimile. Poiché non è possibile isolare nessun momento di ciò che si vive nel presente dalla vita precedentemente vissuta. Non è possibile isolare nessuna singola percezione che si ha nel qui e ora dall’educazione che lo sguardo ha ricevuto negli anni, o isolare un’emozione che si prova nell’adesso dalle sue sorgenti, dalle sue matrici, dalle carezze ricevute o dalle delusioni che si sono provate. E certamente non è possibile isolare il qui e ora dall’apporto inconscio presente nella vita psichica in ogni momento.
Nulla nel qui e ora è fatto di un istante, di una durata così breve da poter essere vissuta come non avesse altro che il presente. Nel piacere che si prova per un singolo tramonto, nel qui e ora di quel piacere concorrono e si condensano le esperienze che nella propria vita già vissuta hanno educato i propri modi di vivere lo spettacolo della natura.
Alla pesantezza a cui costringe a volte la propria identità il qui e ora ideologizzato e astratto promette una relazione ingenua e leggera con sé stessi, persino di dimenticarsi di sé.
Poiché l’unico tempo che si vive è sempre nel qui e ora, non se ne ottiene un’esperienza della pienezza di sé attraverso una prospettiva chirurgica che lo amputa. Semmai muovendosi in opposta direzione, lungo il sentiero della conciliazione con sé, nel saper accogliere nel qui e ora tutte le parti di sé che lo addensano, di passato e di ferite, di futuro e di speranze, di delusioni e di perdite.
Quando questa conciliazione con sé è ingarbugliata, faticosa, quando suscita ansia, ci si potrebbe rifugiare in un qui e ora neutralizzato, sperando di ottenerne una pace e far tacere la propria identità dietro la porta.