L’esperienza della separazione è impronta di quella del legarsi. Nel proprio modo di elaborare l’abbandono vi è la mappa che orienta le relazioni d’amore.
Nei primi incerti passi della nostra vita non è l’amore che prima incontriamo, ma l’abbandono. Nasciamo e non sappiamo ancora dell’amore, ancorché veniamo amati. Perché sapere dell’amore richiede di riconoscere la differenza tra sé e un’altra persona. Ma alla nascita non vi è percezione di una distinzione affettiva tra sé e la madre. Si vive il legame con la persona da cui dipende integralmente la propria sopravvivenza senza la coscienza della sua precarietà (cfr. Margaret Mahler). Così, quando si comprende di essere distinti, distaccati da chi è indispensabile, non è esperienza d’amore, ma di dolore. Accorgersi che la madre, a cui è totalmente affidata la propria sopravvivenza non è illimitatamente disponibile e accessibile, sprofonda nell’allarme, nel timore, di non poter provvedere a sé. Si è consegnati alla propria vulnerabilità. È abbandono la fame che si soffre, l’assenza della vicinanza al corpo materno.
Poi, fortunatamente, si impara l’amore, che il distacco non è insanabile, ma può essere legame. Si impara che l’amore può ricostruire un’unità tra due, può saldare l’esistenza nel noi. Anche se pur si impara che non può essere al riparo dall’abbandono.
Diventiamo adulti e portiamo con noi il grumo sotterraneo e indelebile dell’abbandono, il detrito emotivo che ha lasciato, l’eredità di timori e delle cautele che ha prodotto. Di cui possiamo osservare nelle persone modi molto diversi nell’affrontarlo.
Relazioni che finiscono e si interrompono con ordinaria facilità. Un abbandono normalizzato un distacco intangibile, da non meritare riflessione e riesame. Una conclusione disimpegnata che porta con sé l’altro lato della moneta: il modo di sapersi gettare e vincolare nel legame d’amore. Poiché si abbandona facilmente l’amore quando viene vissuto con troppe avvertenze a piè pagina, un contratto con un inevitabile termine.
All’opposto, si potrebbe essere divorati, compromessi, lacerati, dall’abbandono, reso traumatico da un legame d’amore che non aveva concepito la possibilità della propria fine, della propria morte.
L’amore porta con sé ineludibilmente la separazione, l’insopprimibile lontananza, come fantasma, come possibilità lacerante. Il cui timore viene elaborato e prefigurato, cercando una mediazione tra l’impoverimento del legame, che consente un abbandono normalizzato e svuotato, o la subalternità e l’annullamento nella persona amata, per scongiurare un abbandono drammatizzato e creduto insostenibile. È dunque un equilibrio tortuoso e precario mettersi in relazione con l’abbandono, perché è a rischio di esserne invasi, quanto di esserne impermeabili.