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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
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Di quale abbandono siamo eredi

Di quale abbandono siamo eredi

Lo sappiamo, lascia più il segno una ferita che molti sorrisi. La nostra mente è fatta così, predisposta a ricordarsi con più facilità delle nostre sofferenze, di quanto lo sia nell’accorgersi e ricordarsi di quando le cose funzionano e ci rendono sereni.

Ciò che la nostra mente trattiene nella sua memoria è diverso da quello che consapevolmente ricordiamo. Le esperienze si depositano nei nostri circuiti neuronali e da quel momento condizionano e indirizzano quel che faremo, quando avrà analogie con ciò che abbiamo già vissuto. Per lo più inconsapevolmente. La nostra mente è fusione di natura (biologia) e memoria (esperienze). Insieme producono chi siamo e chi diventiamo.

Una delle ferite che maggiormente lascerà un segno nella nostra vita è l’esperienza di abbandono. E’ tanto indispensabile e vitale il bisogno di legame e di affetto, che la nostra mente è particolarmente sensibile a quelle volte nelle quali se ne vive la carenza, quando ci si sente soli, rifiutati, incompresi, trascurati, rifiutati, in sintesi, abbandonati.

E’ quasi impossibile non avere esperienze di abbandono nella nostra vita, dalla nascita in poi. Sono esperienze nella quali non sono rilevanti solo i fatti, ma anche e soprattutto il modo con cui li abbiamo vissuti emotivamente. Sono esperienze che ci hanno segnato, anche se non le ricordiamo e non sappiamo riconoscerle. Essere seduti sul sedile dietro dell’auto di famiglia, con il fratello invece nel sedile a fianco del genitore. Indossare gli abiti del fratello maggiore. Sentirsi rifiutare un desiderio che invece è stato accolto per la sorella. Non ricevere attenzioni quando lo si desiderava tanto. Sentire e credere che l’amore dei nostri genitori richiedeva che fossimo perfetti. Innumerevoli ferite, più o meno importanti, che hanno lasciato il loro segno. Invisibilmente.

Poi ci troviamo (a volte diventiamo) adulti e molto di ciò che siamo, di ciò che osiamo essere, di ciò che sperimentiamo e cerchiamo dipende da come il timore dell’abbandono si è insediato e ramificato nel nostro cuore. Perché è timore che ci trattiene, ci indirizza, pur di non perdere o danneggiare l’amore e il legame con gli altri di cui abbiamo necessità.

Dunque la vita è stata maestra, ci ha insegnato a temere di essere abbandonati, isolati, rifiutati, incompresi. Ma questo non significa che è stata una buona maestra. Le ferite ci segnano il cuore, lo plasmano, ma non significa che ciò che ci fanno diventare sia il meglio per noistessi. Possiamo allora prenderci del tempo e della buone conversazioni con chi ci vuole bene per parlare alle nostre ferite e delle nostre ferite, trovare il timore di abbandono che è nel nostro cuore e chiederci se va bene così. Oppure se debba essere educato a farsi più leggero e meno minaccioso. Potrebbero accadere cambiamenti sorprendenti, più liberi dal timore di essere soli.

 

 

 

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