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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
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La lieve normalità di accontentarsi

La lieve normalità di accontentarsi

Ma veramente ci interessa migliorarci? Dannarci di autocritica per riuscire a comunicare meglio, ascoltare più accuratamente o liberarci dei nostri timori eccessivi? Davvero vogliamo cercare cosa non sappiamo di noi, cosa ci sfugge di quel che siamo e dei nostri modi di agire, per modificarlo un po’ e renderlo preferibile?

La risposta è nell’effettivo tempo e nell’effettivo sforzo che dedichiamo a interrogarci e a correggere i nostri modi di essere. Vince accontentarsi di quel che siamo. Anche se non ci amiamo molto, e a volte siamo anche infelici. Perché abbastanza facilmente ci si può impegnare a migliorare come giochiamo a tennis, oppure come cuciniamo, o anche l’inglese o il tango. Altra cosa è prendere per le mani quel che più sta in fondo al nostro cuore, di abitudini e spontaneità, quel che sta anche un po’ nascosto e riluttante a farsi vedere, per portalo più su e impegnarsi in un programma, di aver meno paura, di essere più fiduciosi, di saper vedere il bicchiere mezzo pieno o di trasmettere passione e gioia. Perché è fatica mettere mano ai nostri modi di agire. E spesso non sappiamo da dove partire per riassestarli. 

Certo vi sono cambiamenti che pur avvengono in noi, ma sono quelli di cui ci accorgiamo voltandoci indietro, passati gli anni, che sono stati quasi inconsapevoli. 

Ci si accontenta. Che non è una parola mediocre o perdente, perché non è un dovere l’eccellenza e neppure la felicità. Tanto meno l’autenticità, sapendo che non è la facile convinzione di essere quel che siamo abituati ad essere. 

Ci si accontenta perché abbiamo imparato ad essere così e a vedere che la maggior parte delle volte, quasi sempre, non ci è necessario essere diversi. Che le delusioni, i litigi, le incomprensioni e i dolori sono ingredienti accettabili. A cui siamo abituati. E non sono tanti da farci sbandare, andare fuori strada, nel dolore che non si placa o nel fallimento della vita.

Teniamo la barra e abbiamo una rotta, anche se le emozioni a volte ci ingombrano paralizzandoci, anche se non comunichiamo da lasciare a bocca aperta chi ci ascolta e spesso ci sentiamo poco compresi o comprese.

Abbiamo desideri, certo, di più giornate di sole e incontri che ci arricchiscono, di un lavoro che ci lasci tempo e figli che siano forti di un futuro che sapranno costruire. Desideri che richiederebbero che cambiassimo un po’, impegnandoci a migliorare, ad essere più forti delle nostre paure e delle nostre abitudini, a cui siamo legati nel pozzo del nostro cuore. Ma va bene lo stesso, accontentarci. Perché apparteniamo alla vita che viviamo, che non ha bisogno che siamo diversi. Anche se da qualche parte nel nostro cuore sappiamo che forse potremmo essere un po’ diversi, forse migliori, forse più autentici. Se la parola significa saper essere tutto ciò che possiamo essere, non solo quello che già siamo.

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