È raro sentirsi in affinità con qualcuno, perché è sintonia che va oltre la simpatia, la piacevolezza dello scambio. Non basta neppure l’amore reciproco per assicurarsi l’esperienza di un sentire affine. A volte l’amore porta con sé sogni, attese, desideri che si smarriscono nella realtà materiale e concreta dei gesti, delle parole scambiate, delle incomprensioni parziali.
Si può partire dal fatto che in ogni relazione (anche la più insignificante) avviene uno scambio: qualcosa di sé viene dato, consegnato all’altro, e qualcosa dell’altro viene ricevuto. Che sia un pensiero, un saluto, un bacio, una percezione, in ogni relazione vi è sempre un transitare, percorrenza di contenuti. Una quota della propria identità raggiunge l’altro, che ne viene toccato e l’altro la prende dentro di sé, per lo più involontariamente, elaborandola, trasformandola in pensiero, in emozione, in giudizio.
In questo transito quel che sovente accade è una metamorfosi. Si assiste alla differenza tra quel che l’altro ha ricevuto e ciò che gli abbiamo inviato (comunicato) di noi stessi. Naturalmente lo stesso vale per gli altri quando si rispecchiano in noi, osservando come sono percepiti e interpretati.
Anche quando si comunica sullo stesso contenuto – un timore che sembra condiviso o un’esperienza che ha entusiasmato – facilmente rimangono dettagli di sentimenti e sfumature della propria esistenza che ci accorgiamo essere rimasti per strada, non arrivati a destinazione, poiché l’altro non li ha compresi come sono presenti in noi. Ad esempio, parliamo di un comune desiderio di libertà, ma quando sentiamo dirci: “Anch’io” in realtà sentiamo che qualcosa del nostro desiderio, della sua unicità nel modo di palpitare in noi, non è compreso in quell’”Anch’io”. Oppure, in due siamo davanti a un meraviglioso spettacolo della natura, anche se entrambi ci diciamo quanto ne siamo affascinati, e parrebbe la stessa emozione, percepiamo che qualcosa del nostro modo di sentire rimane orfano, che non è esattamente quel che l’altro crede di aver compreso di noi. Ci rimane una dose di no stessi che non è transitata, che non è giunta intatta nel cuore dell’altra persona. Ci rimane un alone di solitudine, che è incagliarsi di qualcosa di noi nel transito da noi all’altro.
Forse l’affinità può essere allora definita da questa eccezionale esperienza: quando nel transitare del donare e del ricevere con gli altri, noi stessi rimaniamo reciprocamente integri.
Affinità non significa infatti uguaglianza, totalizzante omogeneità di identità. Non solo impossibile ma anche fatalmente noiosa. Affinità è invece quando quel che l’altro riceve di me è esattamente come è in me e quel che io ricevo dell’altro è esattamente come è in lui. Un transitare che non perde nulla e non modifica nulla. Persone in affinità sono persone in perfetta e difficilissima reciproca accoglienza, grazie a un perfetto e difficilissimo ascolto.
