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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
per una vita consapevole,
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La conoscenza di noi stessi che ci occorre, anche senza la verità

La conoscenza di noi stessi che ci occorre, anche senza la verità

Abbiamo necessità di credere che ci conosciamo, perché sarebbe amaro ammettere di non conoscersi, di essere a noi stessi ignoti: “Io so bene chi sono”.

Eppure, pur sappiamo, e può essere fatica ammetterlo, che parecchio manca all’appello della nostra consapevolezza, celato nel brigare inconscio della psiche. Che mai potremo avere la certezza di conoscere di noi tutto con verità, perché il nostro pensiero non può sottrarsi da sé, per guardarsi dall’esterno e valutare se sia stato irretito da manovre inconsce. Quel che pensiamo è parte di quel che siamo.

Cos’è allora la consapevolezza, visto che si colloca tra due estremi, quello impossibile della conoscenza completa di sé e della garanzia di verità e quello altrettanto impraticabile della totale ignoranza di sé? 

Forse non è fondamentale assicurarsi quanto sia vero e completo ciò che si crede di sé, ma quanto quel che crediamo di noi stessi ci sia di aiuto, nell’essere le persone che cerchiamo di essere. È infatti facile vedere come successo, felicità e persino virtù possano appartenere a persone poco interessante a una consistente consapevolezza di sé.

Ci occorre e basta avere parole da dirci credendo dicano il vero di noi. Perche credere di sapere è diverso dal sapere, ma abbastanza, per sentici sicuri di avere la vita nelle nostre mani, di poterla accettare, convinti di essene noi i custodi e gli autori.

Forse è allora da detronizzare l’idea aulica della consapevolezza di sé come sete di conoscenza. Perché, in fondo, la consapevolezza che ci occorre è nel contributo che ne otteniamo, attraverso le parole che troviamo per dire di noi. Rivolgendoci introspettivamente verso noi stessi, ricostruiamo la nostra identità da poter guardare e credere di averla voluta, quanto meno capita. Forse, essere consapevoli non riguarda quel che si sa di sé, ma quel che si fa di ciò che ci diciamo di essere.

Così, allora assume una sua direzione precisa il tempo e lo sforzo di conoscersi e di conversare con sé. Perché soprattutto abbiamo bisogno di approfondire chi pensiamo di essere, di interrogarci per correggere, rimodulare e completare come descriviamo quel che sentiamo e viviamo quando quel che pensiamo di essere non ci basta. Quando non ci basta per essere efficaci, soddisfatti o felici. Quando non ci basta per sentirci bene con noi stessi e la vita che viviamo. Allora in questi casi, nei quali chi crediamo di essere non ci aiuta abbastanza ad essere chi vogliamo essere, ci soccorre e occorre porci domande, sulle origini delle nostre emozioni e delle nostre scelte, dei nostri pensieri e dei nostri desideri, su ciò che si muove nell’ombra in noi stessi. Per trovare nuovi e aggiuntivi contenuti alla nostra consapevolezza. Che sono veri? Poco importa, quel che importa è che questo incremento, che crediamo un’arricchita conoscenza di sé, ci sia utile e ci rafforzi.

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