Quando possiamo dire di sapere? Quando possiamo credere di conoscere qualcosa?
Sapere, conoscere evocano il possesso di un contenuto a cui affidarsi, di cui sentirsi sicuri. Esattamente ciò di cui la nostra mente, per la stragrande maggioranza delle sue reti neurali, ha necessità: certezza. E’ così tanto il bisogno di certezza che arriviamo facilmente alla convinzione di possedere un sapere.
Ma il sentimento di certezza che viviamo verso un sapere che possediamo non significa esserne consapevoli. Wittgenstein scriveva: «Non è vero che sappiamo sempre quali sono le nostre intenzioni, è più vero che sappiamo sempre dire quali sono le nostre intenzioni». Sappiamo trovare spiegazioni per quel che abbiamo fatto o per ciò che abbiamo scelto. Sappiano trovare spiegazioni per le nostre scelte. Altra cosa è averne la consapevolezza.
Ciò che ci diciamo ci mette a disposizione un sapere, ma non sempre quel che ci diciamo ci mette anche a disposizione una verità su di noi. Spesso quel che conta non è essere consapevoli, bensì rassicurati.
La consapevolezza riguarda la genesi, la provenienza. Essere consapevoli significa retrocedere, andare indietro. E’ attraverso questo movimento di distacco che si riesce ad andare a fondo, inabissarsi oltre ciò che si sa e si crede di conoscere. La consapevolezza richiede una dissociazione da se stessi.
E’ conflittuale la consapevolezza perché necessita di allontanarsi dalle nostre emozioni, dai nostri pensieri, da quel che sentiamo, dal nostro sapere, per evitare di farsene influenzare, per trovare uno sguardo lucido e analitico. Bisogna allontanarsi dalla paura per trovare la paura, la sua natura. Ci occorre distaccarci da quel che proviamo automaticamente e istintivamente, esercitando una pacata riflessione analitica, per trovarne le ragioni e comprenderlo. Lo stesso per i nostri pensieri e le nostre scelte, occorre sapersi distaccare dai pensieri che senza fatica abbiamo nella mente, per trovali poi più accurati.