Provare vergogna non è un sentimento originario, lo si impara, dopo i due anni, quando si impara ad avere consapevolezza di noi stessi agli occhi degli altri, scoprendo che per avere legami e affetti dobbiamo riscuotere consenso e approvazione. La vergogna è l’emozione dell’autoconsapevolezza, nel confronto con i modelli sociali attesi. La sua manifestazione, disagevole e prepotente, si palesa quando si vive l’esperienza di una distanza tra quello che stiamo rivelando di noi e come invece vorremmo essere agli occhi degli altri e ai nostri. Non vi è vergogna per ciò che facciamo, ma per ciò che gli altri vedono di noi. “Il fondamento della vergogna non è il nostro sbaglio personale, bensì che tale umiliazione che sia visibile a tutti.” (Milan Kundera).
La vergogna ha una sua indispensabile funzione: è un sistema di difesa. Protegge la nostra socialità, il nostro riuscire a far parte di una comunità e saper costruire legami. Vigila su nostri modi di essere quando ci rendono criticabili, inaccettabili, lontani o isolati dagli altri. Introiettando i parametri comunitari di ciò che viene considerato positivo e apprezzabile, la vergogna ci tiene sui binari giusti per non trovarci soli. Poiché la nostra mente, tra le sue principali strategie di sopravvivenza e benessere, vuole evitarci la solitudine. La vergogna è un regolatore della nostra integrazione sociale.
Così, il sentimento della vergogna può presentarsi per due ragioni: se sentiamo esibita nostro malgrado una modalità che viviamo dannosa per la nostra immagine, oppure se ciò che facciamo e riveliamo è un fallimento, un’incapacità, una debolezza. Ci sentiamo “messi a nudo”, perché ci vergogniamo di modi che crediamo producano un nostro stato di inferiorità o biasimo negli occhi degli altri.
La vergogna ha tanto da insegnarci. Potremmo comprendere molto di noi stessi interrogandoci su cosa produce la nostra vergogna, quando si manifesta nel nostro cuore. Possiamo vergognarci per essere stati inopportuni, entrando per errore in un luogo sbagliato, per essere stati abbandonati da chi amavamo, o per essere stati umiliati davanti ad altri, o per aver deluso delle aspettative. Possiamo vergognarci per essere stati esclusi, ignorati, o per aver avuto modi di agire eccessivi, goffi, inappropriati. Ogni volta ecco davanti a noi il mondo che ci sta valutando e ci fa vergognare di come siamo. Perché la vergogna ha questo potere, ha questa asprezza, non si accanisce contro un nostro specifico modo di essere, si accanisce contro noi stessi, investe l’intera nostra identità. Ci si vergogna di sé. La vergogna mette in discussione il ‘come siamo’, attraverso un biasimo che riversiamo su noi stessi.
Ma se la mente è predisposta a proteggerci con la vergogna, non è vero che le sue strategia siano sempre quelle migliori. Non sempre la carreggiata su cui la vergogna ci tiene è quella più benefica. Impariamo a vergognarci nel corso delle nostre esperienze, attraverso l’educazione che abbiamo ricevuto, intenzionalmente oppure no, impariamo a temere il biasimo degli altri, l’isolamento che potrebbe rappresentare. Lo impariamo attraverso la cultura che assorbiamo e le ferite che viviamo. Ma non tutto ciò di cui ci vergogniamo merita di essere seguito e accolto. Perché la vergogna può trasformarsi in una censura severa, bigotta, bacchettona e anche erroneamente convinta di critiche e biasimi che in realtà non esistono. Si corre il rischio che la vergogna, da benefico custode della nostra socialità, si trasformi in un tirannico deposta che sopprime la nostra autenticità.