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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
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Arricchire l’insicurezza

Arricchire l’insicurezza

La cautela, l’indecisione che rallentano, che inducono timori e preoccupazioni fanno parte della grammatica a cui ricorriamo per vivere. Ci appartiene l’insicurezza per necessità, sempre rivolti a un dopo di cui non possiamo avere certezza. L’insicurezza è l’eco che ci tocca della vita che non siamo ancora. Ma è pur vero che vi sono modi dell’insicurezza che perdono il loro contributo di aiuto e soccorso. Insicurezze che sottraggono esperienze, paralizzando davanti alla soglia di quel che si potrebbe vivere.

Sovente il potere invasivo delle nostre insicurezze non viene dalla consistenza delle ragioni di cui si avvalgono, ma dalla nostra eccessiva disponibilità a dar loro credito. Per questo le insicurezze meritano un’attenzione non complice di ragioni allarmanti e scoraggianti. Difficile comprendere i nostri nodi, le nostre paure, se utilizziamo lo stesso linguaggio, gli stessi presupposti, lo stesso punto di vista di cui sono fatti. È come se volessimo comprendere le ragioni di una ferita utilizzando il dolore che proviamo. Ci occorre stare fuori dalla ferita, fuori dal suo patimento, per cercarne le cause, le conseguenze che sta arrecando, i reali danni prodotti, che non sono comprensibili attraverso il dolore che ci provoca.

Il potere dell’insicurezza è di apparirci credibile, attendibile. Ogni insicurezza ha buone ragioni dalla sua parte, di cui sa fare un’ottima promozione alleandosi con le emozioni. Per questo non si sgroviglia un’insicurezza combattendola frontalmente, come fosse un nemico. Le certezze non si fanno demolire, ma si possono completare, arricchendole di nuovi contenuti, di ragioni aggiuntive e seducenti che l’insicurezza non sta considerando o vedendo. Radicata nelle nostre ferite non scompare l’insicurezza, al meglio la si può indebolire, cercando fuori dal suo perimetro di allarme la vita che ci preclude, le esperienze che ci vorrebbe impedire, avvicinandole opportunità di sorrisi, di scoperte, di bellezza che non sta includendo nelle sue ragioni. Non svanisce l’insicurezza, ma se ne può sciogliere la paralisi, l’intransigenza, abbastanza per entrare pur cautamente nel blu del mare.

Potrebbe essere utile ricordare che l’insicurezza è totalmente personale, poiché ciascuno ne ha a modo suo le sorgenti. Tre le principali forme di insicurezza vi sono:

  1. l’insicurezza corporea, alimentata da un disagio verso l’immagine che si ha del proprio aspetto e dal vissuto di poter essere rifiutati a causa di esso; esasperando la convinzione che gli altri possano avere una percezione negativa di ciò che non piace di sé stessi;
  2. l’insicurezza sociale, che rende disagevole l’esperienza di scambi sociali in grandi gruppi o con persone sconosciute, fuori dalla rassicurante cerchia amicale. Il timore eccessivo del giudizio degli altri, unito a un limitata autostima, inducono a vivere scomodamente il mondo sconosciuto e ignoto delle persone;
  3. l’insicurezza affettiva, pilotata dal timore di cadere (ricadere) in esperienze di delusione, dolore o abbandono. Le protezioni che erige sono la distanza, la difficoltà ad abbandonarsi, ad esprimere le proprie emozioni, ad affidarsi, sino al timore dell’intimità;
  4. l’insicurezza professionale, che si insedia attraverso il timore di non possedere le qualità e le capacità adeguate a ottenere o meritare l’esperienza professionale e il ruolo a cui si aspira. Un’insicurezza che drammatizza il fallimento e l’errore;
  5. l’insicurezza identitaria che affonda nel vissuto esistenziale di sé stessi. Questa insicurezza precede e avvolge ogni esperienza, poiché è minato il terreno in cui sono piantati il proprio rapporto con la vita e l’accoglienza di sé.

 

 

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