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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
per una vita consapevole,
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Aiutare gli altri nella consapevolezza di sé

Aiutare gli altri nella consapevolezza di sé

A volte lo vediamo quel che gli altri non vedono di sé. Quel che impedisce loro di essere meglio compresi, più efficaci, persino più amati, che a loro sfugge, per mancanza di consapevolezza dei modi di agire che possiedono. Ci accorgiamo che potremmo essere d’aiuto, espandere quel che sanno di sé, perché siano più padroni di sé. 

Ma l’aiuto che vorremo dare non sempre trova ascolto, sovente resistenze e porte chiuse. Così sappiamo quanto sia difficile far giungere agli altri ciò che pur vediamo di loro, che a loro manca di consapevolezza e li potrebbe facilitare.

Dietro le quinte vi è il rischio di causare dolore. Perché diventare consapevoli non significa necessariamente arricchirsi di nuove possibilità, perché si potrebbe conoscere di sé qualcosa che fa male sapere e non ce lo si può più nascondere. 

Come, dunque, essere benefici agenti di consapevolezza?

Da evitare la condanna o il rimprovero, se non veniamo ascoltati, se incontriamo barriere e poca disponibilità a mettersi in discussione: proprio non vuoi capire. 

Come sarebbe opportuno non sentirsi esenti da miglioramenti nei propri modi di comunicare e aiutare: ho fatto proprio tutto, ma non c’è nulla da fare con chi non vuole ascoltare. Assolversi. Preferibile, invece, chiederci cosa potrebbe funzionare meglio nei nostri modi di comunicare, quali dettagli dobbiamo correggere. Perché tanto più è difficile ascoltare ciò che abbiamo da dire tanto più la differenza è fatta dai dettagli dei nostri gesti, delle nostre domande e argomentazioni, delle nostre parole.

Altro aspetto da ricordare: non farsi facili illusioni. Credendo che ciò che ci viene detto corrisponda anche a un desiderio effettivo: certo che voglio conoscermi. E confidare in questa dichiarazione, ignorando invece che nel sottosuolo della coscienza si muovono forze ostili alla consapevolezza. A queste forze occorre saper parlare. E i dettagli di come comunichiamo fanno la differenza.

Assolutamente: non attribuire mai agli altri ciò che consideriamo un bene per noi stessi. Se Kant fondava l’etica sull’imperativo di agire secondo criteri che possono essere validi per ogni essere umano, non è il caso dell’aiuto dedicato a espandere la consapevolezza di un’altra persona. È un pertugio stretto in cui saper passare, tra due criteri opposti:

  • fermarsi a dove arriva il desiderio di una persona di accrescere la propria consapevolezza; 
  • spingersi oltre il suo desiderio, in un territorio di cui non ha ancora percezione, che potrebbe apprezzare solo una volta scoperto e compreso.

In altre parole, limitarsi alle porte che troviamo aperte, oppure correre il rischio di cercare di aprirne altre, di consapevolezza.  Ben attenti a non attribuire agli altri un nostro desiderio. Perché la consapevolezza è una porta che non si può più richiudere.

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