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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
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Legami a cui apparteniamo e che ci mancano

Legami a cui apparteniamo e che ci mancano

A quali esperienze concrete e vive di donne e uomini ci sentiamo legati, tanto da riconoscervi i positivi effetti sulla nostra vita? Se ci spingiamo oltre la rete parentale e amicale, a cui siamo allacciati attraverso un’affettività diretta, quali appartenenze troviamo, da farci sentire parte di una grandezza umana di donne e uomini più vasta di noi stessi, da cui ne abbiamo identità, doveri, impegno, speranze?

Vi sono appartenenze collettive che esistono indefinite e disimpegnate, che a volte per un potente e clamoroso accadere trovano un’emozione unificante, come vincere un campionato del mondo o patire insieme un disastro naturale. Un vissuto di affinità identitaria che si sprigiona grazie all’irruenza di un evento che ammutolisce differenze, particolarità, distinguo.
Che dire di legami che si fanno sentire e vivono in noi senza il bisogno di esperienze eccezionali? Legami comunitari il cui perimetro di donne e uomini va oltre quello delle proprie affettività relazionali, di cui si accettano senza fatica e con desiderio regole, valori, responsabilità?

Si è detto molto dell’atomizzazione narcisistica che caratterizzerebbe l’oggi: l’affermarsi di un io slegato, autoreferenziale, incline a ripiegarsi sui propri bisogni, contrapposto conflittualmente con la propria cittadinanza sociale, storica e civile. Come fosse aspirazione una libertà non declinata come possibilità di espressione, ma come assenza, spazio esistenziale sgombero, vuoto e spoglio di legami e vincoli, vissuti come restrizione.

Eppure è anche così diffuso un profondo sentimento di perdita, di nostalgia, di relazioni che mancano, di solidarietà scomparsa. Si potrebbe allora pensare che questo imperativo dell’io, il suo privato reclinamento, non sia l’esito di un desiderio, di un’aspirazione, ma contenga nel suo intimo la piega dolente e a volte depressa di una perdita, l’approdo inerte a un sentimento residuale, come cercare di tenersi stretto quel che rimane, per sostituirlo al vuoto rimasto.
Infatti è della psiche, dell’animo, il bisogno profondo di sentirsi comunità, parte di una grandezza grazie alla quale realizzare ed essere qualcosa di più vasto e significativo della singolarità dell’io. Il sentimento del noi, la coralità delle anime che consente, la circolazione dell’affetto che nutre, è inclinazione ineludibile, per quanto permette di espandersi oltre le misure e le mura del proprio io.

Perciò, vi è il sospetto che non sia vittoria la reclusione nell’egemonia del singolare, nella propria individuale e individuata identità, nel ricollocamento affettivo e valoriale alle vicinanze più prossime, distanti e orfani di sentimenti che legano a molti, a una comunità di ideali e di speranze. Così commuove riconoscere in tanti un sentimento perdita unito a quello dell’impotenza, nel sentirsi vinti dalla scomparsa di un legame da far sentire insieme in tanti con gli stessi valori e lo stesso desiderio di essere uniti.

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