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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
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Quando si viene inquinati dall’aggressività

Quando si viene inquinati dall’aggressività

Vorrei iniziare da un episodio che mi è accaduto, perché immagino mi accomuni a molte e molti. Parcheggio. Vicino a me il posto riservato alle persone disabili viene occupato da un’auto. Con garbo, faccio notare al baldante trentenne che ne discende che ha parcheggiato nel posto sbagliato. La risposta, sgarbata, con aggiunta di volgarità, ricorre convita a legittimazioni, sostenendo che peggio fanno i tanti che parcheggiano in doppia fila. Cerco di rispondere, preoccupandomi di mantenermi calmo, ma senza successo. Ricevo incrementate dosi di maleducazione e minacce. Decido allora di voltagli le spalle e andarmene, sentendolo le sue grida dietro di me. Tornato al parcheggio, il posto per i disabili era di nuovo libero e miei due tergicristalli erano stati strappati.

Invidio profondamente chi riesce a lasciarsi alle spalle episodi di aggressività simile (al lavoro, sui mezzi pubblici, ecc.), senza conservarne alcuna traccia; subito depositati in un passato incolore, senza strascichi di emozioni moleste o di rimuginamenti.

Nel mio caso ne sono stato intaccato, turbato. Non per il valore materiale dei tergicristalli, ma per il gesto da cui mi sono sentito violato, come se il mio mondo fosse stato invaso e violentato, come se quel confine di certezza che credevo di avere a disposizione, potendo mantenermi distante dalla violenza, si fosse rivelato facilmente penetrabile. Venuto in contatto con una realtà senza ordine, senza ragioni. L’aggressività che può toccarti senza necessità di avere fondamenta sensate, prevedibili, comprensibili. L’aggressività con cui non ci puoi dialogare, non tanto per ottenere un ripensamento, ma almeno una connessione che si avvalga della ragionevolezza, fosse anche di opposte conclusioni.

Certo, a mente fredda so bene quanto sia infondata la speranza che la vita umana possa contenersi dentro il perimetro di una ragione, ma è diverso esserne toccati in modo diretto. Quello che si aggiunge è trovarmi a mia volta senza direzione, messo sottosopra da una realtà che mi lascia incapace di sentirmi soddisfatto di me stesso. L’aggressività ingiustificata di cui sono destinatario mi inquina, mi insudicia, non riesco a rimanerne indenne.

Per questo invidio chi invece riesce a passare oltre senza fatica, intonso. Io invece sono turbato da un sentimento di fallimento, di non aver saputo agire in un modo che mi potesse soddisfare, dibattuto in un dilemma, tra opposti modi di agire a cui ricorrere: sostenere l’aggressività, senza timore delle possibili conseguenze, senza sottomettermi all’ingiustizia e alla prepotenza; oppure andarmene, per evitare e risparmiarmi conseguenze eccessive? Perché affrontando l’aggressività è facile, checché se ne dica, che ci si trovi ad avvalersene. Mentre andandosene, si deve bere l’amaro calice di lasciare impunita la prepotenza e la sua possibilità di reiterarsi.

Insomma, l’aggressività che vivo in presa diretta ha il potere di manomettere e destabilizzare il mio (ingenuo) bisogno di un mondo con il quale sia sempre possibile trovare un senso e, soprattutto, un’armonia con sé stessi.

 

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