Sono psicologicamente parenti, l’ammirazione e l’invidia, nel riconosce nell’altro un meglio rispetto a noi. Ma non sono lo stesso in ciò che questo riconoscere genera nei nostri sentimenti e nelle nostre azioni. L’interrogativo psicologico è dunque: perché abbiamo bisogno di provare ammirazione e anche invidia?
L’ammirazione stabilisce una distanza, un orizzonte, una “mira”, che si osserva con approvazione e calore, incantati. Si prova un piacere nel riconoscere negli altri una grandezza che ci supera e che non ci appartiene.
Provare un sentimento di ammirazione verso qualcuno ci consente beneficamente di connetterci con i nostri ideali, con il nostro bisogno di nutrire una proiezione identitaria di valore, attraverso cui sentirci congiunti con un sogno, con una vita più piena, realizzata. Ammirando qualcuno stiamo anche affermando a noi stessi di possedere un legame con il contenuto della nostra ammirazione, di esserne in parte toccati. L’inconscio non segue legami di causalità empirici e oggettivi. Come per un pensiero magico indossare il dente di un felino è impossessarsi in parte della sua forza, ammirare un grande giocatore di calcio o un gesto straordinario di generosità, ci fa sentire sfiorati e lambiti da quella unicità. L’ammirazione ci permette di rispecchiarci nei nostri sogni e sentircene nobilitati.
Diversa l’invidia, perché solitamente riguarda chi sentiamo simile. L’invidia non si rivolge a chi è palesemente meglio di noi. E’ l’esito di un confronto con chi ci è prossimo, con chi consideriamo paragonabile a noi. Non si invidia il personaggio pubblico molto amato, ma l’amico che ha più popolarità e legami sociali di noi. Neppure si invidia il leader di una famosa azienda multinazionale, ma il collega che ottiene una promozione. L’invidia è un confronto perdente, che ci restituisce le nostre carenze, che ci fa da specchio mettendoci in relazione con i nostri limiti. La carenza che vediamo attraverso l’ammirazione è una distanza che ci eleva, invece la carenza che muove l’invidia è una distanza che ci fa male.
E’ stato osservato che il sentimento di invidia attiva la corteccia cingolata anteriore dorsale del cervello, la struttura neuronale che elabora il dolore fisico o sociale. La stessa rete che si attiva quando si patisce un sentimento di esclusione sociale. Si può dunque assumere che il dolore prodotto dall’invidia sia collegato alle funzioni cerebrali dedicate a proteggere il nostro legame sociale con gli altri e con la comunità. L’invidia, attivando un sentimento della nostra inferiorità, collegato alle nostre carenze o ai nostri insuccessi, ci sta allarmando di un pericolo di esclusione, di abbandono, di solitudine. L’invidia ci connette a ciò che noi consideriamo fondamentale e vitale per sentirci accolti, accettati e apprezzati socialmente.
L’invidia, come un fastidioso campanello di allarme, ci avverte di un rischio, nel nostro confronto sociale e nella nostra necessità di appartenenza sociale. Un allarme che attiva un’azione, una reazione protettiva: la distruzione della persona invidiata, attraverso un’ostilità svalutativa, per “abbassarla” e ottenere un sollievo sulle nostre qualità e per la nostra autostima.
In sintesi: l’ammirazione ci connette con i nostri sogni, l’invidia con i nostri incubi.
PS: aiuta molto nel conoscerci soffermarsi su quando ammiriamo e quando invece invidiamo.