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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
per una vita consapevole,
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L’amore non consente l’innocenza

L’amore non consente l’innocenza

Subire un torto sovente produce una ferita. Una ferita che reclama giustizia, per ripristinare un sentimento della nostra integrità, danneggiati dalla scorrettezza che abbiamo subito. 

Al malessere per esserci sentiti ignorati, per l’arroganza o la prevaricazione che abbiamo dovuto subire, si oppone il sentimento della nostra innocenza: da una parte noi che siamo nel giusto e dall’altra chi ha sbagliato. Sentirci innocenti verso il torto che subiamo equivale a sentircene totalmente privi di responsabilità.

L’innocenza coincide sovente con una carenza di conoscenze e possibilità: non so, non sapevo, non potevo. Un’assenza di consapevolezza che consente di escludere la nostra corresponsabilità. Perché quando conosci non sei più innocente, non puoi ignorare.

Ciò che ignoriamo, nel considerare l’arroganza che ci ha mortificato, l’inganno che ci ha amareggiato, è la vita della persona che ha avuto i gesti e le parole che ci hanno ferito. Non guardiamo, e forse neppure ci interessa farlo, l’universo identitario dell’autore della ferita che viviamo.

Ma che dire dei conflitti con le persone che amiamo? Che dire quando è chi amiamo che ci procura il malessere di essere stati trascurati, di non aver avuto l’attenzione, la tolleranza o la disponibilità che ci pare debba venirci dall’amore? Possiamo considerarci innocenti nel rivendicare giustizia? Possiamo escludere dalla nostra condanna o dal nostro risentimento le conoscenze che abbiamo della persona che amiamo, riducendola solo ai soli gesti o alle parole che ci hanno ferito?

L’amore genera una conoscenza ineludibile, che non ci consente innocenza. Perché non possiamo non sapere. Perché sappiamo che le dimenticanze che ci hanno ferito, o le parole sbagliate che ci sono state dette, appartengono alla persona di cui conosciamo l’universo di emozioni e fragilità, di pensieri e desideri, di percezioni e modi d’essere che si sono sedimentati nel tempo. La persona che abbiamo scelto di amare. Non possiamo ignorare e neppure semplificare, staccare e recidere il gesto che ci ha amareggiati, le parole che non avremmo voluto sentire, da quel che già sappiamo di chi amiamo. 

Se vi è un segno distintivo dell’amore, di qualunque tipo, per la persona con cui condividere la vita, per un figlio o per un amico, è l’impossibilità di essere innocenti, di non sapere. Non è possibile non sapere l’interezza di chi si ama, di ciò che ha vissuto, sentito, patito, ascoltato, sofferto o gioito. E chi ama non può dimenticare di sapere.

Certo non significa adeguarsi a modi o a gesti che ci feriscono. Ma se pur ci battiamo per ottenere modi migliori, sentendoci nel giusto, non siamo innocenti. Sappiamo. Sappiamo che appartengono a una persona di cui ben conosciamo come i suoi modi vengano dalla sua identità. Ci battiamo per correggerli, ma non possiamo dirci innocenti, riducendo chi amiamo solo ai suoi gesti o alle sue parole. Abbiamo una consapevolezza che ci impegna a un’accoglienza, a una comprensione. A rendere la nostra giustizia meno cieca. Abbiamo patito una ferita, ma abbiamo anche un dovere non innocente verso l’amore.

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