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GianMaria Zapelli elsewhere

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Quando ci arrendiamo

Quando ci arrendiamo

Arrendersi è inevitabile. Fermarsi dove ci si trova, non andare oltre, anche se si potrebbe. Accontentarsi, risparmiarsi e va bene così.

La differenza non è tra chi si arrende e chi no. Perché per ognuno vi sono gesti e modi migliori che potrebbe avere e che non si sforza, desideri che potrebbe cercare di realizzare e non importa, coraggio che potrebbe portare oltre e invece lì rimane.

La differenza è tra chi comprende quando si arrende e chi si arrende inconsapevolmente. Arrendersi significa rinunciare, sottrarsi a una possibilità che pur si ha a disposizione: di essere una persona migliore, di cercare di capire meglio, di arrivare in fondo, di mantenersi coerenti con un valore a cui si crede quando non è facile. Ci si arrende, invece, rimanendo un po’ meno capaci, un po’ meno preparati, un po’ meno attenti, un po’ meno onesti.

Ma è inevitabile arrendersi, perché non siamo fatti di energie illimitate, neppure abbiamo corazze che ci riparano da ogni dolore. Ci arrendiamo proteggendo dove siamo arrivati, perché andare avanti, non accontentarsi mai, con fatica e speranza, non è detto che ci riservi soddisfazioni.

Così fa differenza se ne siamo consapevoli, se abbiamo ben chiaro quando ci arrendiamo, pur potendo dare di più ed essere di più. E’ un arrenderci che ci insegna umiltà e misura, ci educa al valore della nostra imperfezione, dei nostri limiti e del meno che abbiamo Ci impossessiamo delle nostre rese quando riconosciamo di esserci fermati, quando invece avremmo potuto di più. Ammettiamo la sconfitta, perché sappiamo di essere stati meno coraggiosi, onesti, generosi di quanto potremmo. Ma è un arrendersi generativo: ci insegna la strada che stiamo facendo, nella continua scelta di rinunciare o cercare di essere meglio.

Non è lo stesso per chi si arrende senza averlo capito e scelto. Chi ignora le proprie rese non sa vedere le volte in cui potrebbe sforzarsi e migliorarsi, le volte in cui potrebbe persistere e arrivare. Arrendersi senza saperlo sottrae la consapevolezza della sconfitta, evita una ferita narcisistica, ma, come per ogni ignoranza, lascia anche meno padroni di sé e del proprio destino.

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