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GianMaria Zapelli elsewhere

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Ciò che ci attendiamo dagli altri: tra virtù e inquinamento

Ciò che ci attendiamo dagli altri: tra virtù e inquinamento

Ci appartiene, come un requisito psicologico ma anche esistenziale, di avere aspettative. Di sentirci compresi, ricevere cortesia, vedere ricambiate le nostre attenzioni. Sebbene quando vi è un’aspettativa, che riguarda ciò che gli altri potrebbero, o anche dovrebbero fare, vi è sempre il rischio di poter incorrere in una delusione, in una ferita. Perché congiungiamo qualcosa di valore per noi alla libertà degli altri.

E sarebbe una fuga da ciò che ci fonda aspirare ad esser privi di aspettative, idealizzando una vita che ne sia totalmente priva, per tenersi lontani dal dolore che potrebbero generare. Come se ottenere un’esistenza priva di dolore fosse lo scopo principale dell’esistenza stessa. Ma non tutto il dolore, per quanto faticoso, è inessenziale. Occorre anche il dolore per imparare  a comprendere, per riconoscere come io e tu possano incontrarsi e legarsi.

Saldare parte della propria felicità e del proprio benessere psicologico a ciò che altre persone potrebbero fare o non fare non costituisce un’abdicazione a sé. Nell’aspettarsi dagli altri di sentirci amati, rispettati, compresi si manifesta la natura più profonda della nostra vita psicologica ed etica, di essere incompleti, parziali, di poter avere pienezza solo ricevendo dagli altri la loro attenzione, il loro amore. Nel nutrire aspettative riveliamo la dipendenza che abbiamo verso gli altri, dai quali ci occorre la prova di esserci. Certo è una debolezza, ma non quella dell’essere incapaci, dell’essere carenti di abilità. È la debolezza necessaria per stabilire legami, per costruire reciprocità, per scambiarsi ascolto e affettività. È la debolezza che rifornisce di vicinanza e condivisione. Anche se a volte il prezzo da pagare è il dolore.

Ma non ogni aspettativa è sempre alimentata da necessità virtuose. Potrebbero  contenere anche un ingrediente inquinante, una sproporzione tossica. Perché vi sono aspettative che invece di legare allontanano, invece di aiutare a comprendersi sanciscono prigioni, invece di saper vedere sono cieche.

Ma non si tratta di immaginarsi liberati da ogni forma di aspettativa verso gli altri, inseguendo un’anoressia relazionale, o credendo, applicando una rimozione piscologica, che si possa solo aspirare a dare agli altri senza mai avere alcuna aspettativa. Più impegnativo, ma forse più denso di valore esistenziale, è portare con sé aspettative, e dare loro vita, con il rischio che comporta. Ma interrogandole, per emendarle da ciò potrebbero avere di nocivo, velenoso, tanto da danneggiare noi e gli altri. È la direzione più impegnativa da mettere a fuoco, accettare la propria dipendenza dagli altri ed essere capaci di nutrire nelle aspettative ciò genera legami e benessere. Sapendo ripulirle di ciò che invece le inquina con altre debolezze, non virtuose: la mancanza di fiducia, pregiudizi, permalosità, l’incapacità di ascoltare o di empatia. Una comprensione di sé impegnativa, tanto è difficile tracciare nelle nostre aspettative esclusivamente loro benefica necessità.

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