Poche scoperte sono così difficili e inesauribili come scoprire totalmente quale sia la nostra autenticità. Di certo non può limitarsi alla spontaneità, a ciò che pensiamo, manifestiamo e agiamo senza curarcene e senza autocontrollo. Se consideriamo l’autenticità l’esperienza del nostro possibile, di ciò che abbiamo nella nostra natura di poter essere, sentire e vivere, allora realizzarla va ben oltre ciò che già siamo spontaneamente.
Così, come appare riduttivo assegnare alla nostra autenticità, alla verità della nostra identità, solo contenuti pregevoli e positivi. Come se ciò che siamo, quando non è apprezzabile, non riguardasse chi siamo.
La ragione che rende difficile la scoperta della nostra autenticità, l’enigma che rappresentiamo per noi stessi, è che non se ne può sapere il contenuto sin tanto che non l’abbiamo incontrata. Possiamo sapere chi siamo solo quando ci siamo arrivati.
Certo possiamo avere delle premonizioni su ciò che potremmo incontrare della nostra autenticità: la paura che ci trattiene dal percorrere alcune strade nella vita, perché quasi certamente destinate a un fallimento; oppure la tenacia che ci convince che vale la pena insistere; o ancora i sentimenti che ci dirigono verso i loro orizzonti.
In ogni caso, possiamo dire chi siamo, di che pasta sia fatta la nostra autenticità, solo quando siamo faccia a faccia con le esperienze, con quel che ci accade e ci tocca e ci impegna e ci sollecita. Con le parole che riusciamo a dire e quelle che non ci sappiamo, con le pareti che riusciamo a scalare e quelle che rimaniamo più giù.
Così, per questo l’autenticità è dilemma, essere o non essere, perché possiamo saperla e possederla solo se la cerchiamo, ma non è sicuro che cercarla ci porti poi ad essere felici di ciò che troviamo. Un dilemma che ci mette al cospetto con il rischio, di spingersi dove non sappiamo ancora quel che saremo.
A volte, il desiderio di autenticità, di essere persone che ancor più realizzano sé stesse, ciò che è nel nostro destino di essere, può essere presente in noi come un lieve rumore di fondo. Distante e sfumato percepiamo che qualcosa ci manca, che qualcosa di più o di diverso potremmo essere, un piccolo e quasi impercettibile suono, quasi un lamento, che non ha un messaggio preciso, che non ci arriva con chiarezza di contenuti. Ma sentiamo che ci collega a un desiderio, a volte una nostalgia.
Così possiamo tenere con noi questo sottofondo remoto, questa risacca del cuore, incontrarlo casualmente in una malinconia o in un silenzio inatteso. Oppure possiamo accoglierne l’eco, legare le paure all’albero e fare rotta verso noi stessi.
Iscriviti alla Newsletter settimanale di ELSEWHERE, clicca qui