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GianMaria Zapelli elsewhere

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Quando una bugia fa veramente bene

Quando una bugia fa veramente bene

Non vi sono dubbi: mentire è (quasi) sempre esecrabile. Ma forse potrebbe esserci anche dell’altro in una così ferrea condanna della bugia. Qui, pur in una carente sintesi, la proposta di una versione meno spregevole e negativa della bugia.

Potrebbe aiutare partire dalla funzione benefica della bugia nello sviluppo psicologico del bambino. Nei primissimi anni di vita la percezione di sé di un bambino è del tutto indifferenziata rispetto alla percezione che ha degli altri attorno a lui. Non riconosce ancora di possedere una mente privata, distaccata dagli altri. Lo sviluppo psichico intorno ai due anni in alcuni bambini vedere comparire una prima manifestazione della bugia: le bugie bianche. È la prima istintiva consapevolezza che vi possono essere negli altri emozioni collegate al proprio e indipendente modo di agire. Così la bambina che riceve un regalo che non gradisce, lo accoglie sorridendo, dicendo grazie alla zia che glielo ha regalato, sapendo che le sta facendo credere di averlo gradito. Le prime bugie che si imparano sono il prodotto delle capacità empatiche, che si mettono in moto ancora prima dello sviluppo delle capacità cognitive e riflessive. Verso i quattro anni compaiono bugie più sofisticate, con la loro fondamentale utilità. Sono bugie che si avvalgono dello sviluppo della percezione della propria autonomia psicologica e cognitiva. Mentendo si sperimenta di possedere un mondo interiore che può essere nascosto e sottratto allo sguardo degli altri. La bugia diventa uno dei primi atti psicologici di individuazione e di indipendenza. La mamma chiede al figlio che durante il giorno frequenta la scuola materna: ti faccio le uova per cena? E il figlio che detesta le uova e le ha rifiutate a mezzogiorno: no, le ho già mangiate a scuola.

Perciò, la bugia diventa una scelta possibile quando il bambino si accorge che le persone possono avere nelle mente pensieri che non dicono, che può influenzare nascondendo i propri. Mentire nella formazione psichica è un atto di sovranità. Il territorio attraverso cui si impara di possedere un’interiorità privata, segreta e di esserne responsabile.

Potremmo perciò provare a distinguere le ragioni che rendono negativa ed esecrabile la bugia. Vi è un mentire riprovevole e condannabile quando produce una negazione dell’altro, quando è un inganno che sottrae all’altro la sua libertà, la sua dignità, quando la menzogna deteriora e danneggia la possibilità di scelte e di azioni delle persone, sottraendo loro consapevolezza e quindi libertà.

Ma che dire invece della bugia che viene condannata in nome di una sincerità che deve essere sempre e in ogni circostanza affermata? Che dire dell’attesa di sincerità anche quando la sua omissione non produce un reale danno alla libertà di qualcuno, ma solo il malessere inquietante di dover accettare chi non è totalmente trasparente? In questi casi, la bugia, di quelle che non danneggiano realmente, se non l’autostima e il bisogno di una sincerità rassicurante, potrebbe essere l’indizio di un bisogno di indipendenza, di un’alterità che preferisce sottrarsi nella propria libertà. Fosse anche quella della propria debolezza.

 

 

 

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