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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
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L’impronta del nostro Ideale dell’Io sulla nostra vita

L’impronta del nostro Ideale dell’Io sulla nostra vita

Ci appartiene, irriducibilmente, un tormento. Destinati a non avere mai l’anima pacificata. Occasionalmente in qualcuno, o incessantemente in altri, ci anima e ci invade il sentimento di una carenza, un’insufficienza, una distanza, da chi vorremmo essere, di più o di diverso. Siamo abitati psicologicamente da una tensione, da un traguardo costantemente irraggiungibile, che però non cessa di attrarci, di catturarci. Mai appagati totalmente: del ruolo raggiunto nel lavoro, del risultato sportivo conquistato, dell’apprezzamento ottenuto dagli altri, dell’aspetto che abbiamo. Poco e molto qualcosa ci manca.

Non si può liquidare questa trazione permanente dell’insoddisfazione con facili conclusioni, come se l’incapacità ad accontentarsi fosse solo una questione di pessima educazione o di eccessivi condizionamenti consumistici. Certo, educazione, ambiente, stimoli persuasivi lasciano il segno, ma entrano in un terreno psichico che ha leggi e strutture proprie. Freud ha dato voce e forma a questa nostra tensione, chiamandola Ideale dell’io, o anche Io ideale.

Nasciamo con un vocabolario e una grammatica psichiche sensibili a impiantare in noi un ideale, un modello identitario a cui tendere. Come una rotta che ci faccia da orizzonte, così che il nostro Io, nei nostri modi di scegliere e di diventare persona, abbia una direzione, e non sia agglomerato di esperienze che si sommano.

Ma se pur cogliamo la nostra dialettica interiore, tra chi siamo e chi vorremmo essere, meno facile è districarne tutti i fili, disvelarne tutte le dinamiche e l’influenza che ha sulla nostra vita. Perché, lo sappiamo, siamo compromessi da un bias psicologico: cerchiamo di capire chi siamo e la facciamo ricorrendo al nostro pensiero, nel quale è insinuato l’inconscio, con la sua strategia omertosa.

Ma, senza arrenderci allo stento di conoscersi, è conversazione con sé preziosa cercare di mettere a fuoco il proprio Ideale dell’Io. Quale sia l’aspirazione incolmata e incolmabile che ci trascina. Il che significa non solo cercarne i connotati, ma anche come si sia formato e perché ci obbliga il nostro Ideale. La natura ci consegna vocaboli e grammatica, ma poi quel che viene scritto nel nostro personale Ideale dell’io è il prodotto di quel che abbiamo vissuto, soprattutto nei primi anni della nostra vita.

Cosa ci hanno trasmesso i nostri genitori, attraverso il loro sogno ideale proiettato in noi? Quali ferite ci hanno fatto sentire privi di qualità, tanto da maturare l’ideale di possedere qualità straordinarie, da poter evitare lo stesso dolore nel futuro? Quali vuoti abbiamo patito, da forgiare un insaziabile ideale di pienezza?

Ci abita un’ideale e la tensione che genera nel suo non essere mai pienamente realizzato produce effetti nella nostra vita. Sono tensioni che hanno generato arte, scoperte scientifiche e anche ottimi genitori. A volte dominano la vita sottraendole felicità, equilibrio e lucidità. Affrontare il nostro Ideale dell’Io significa, allora, cercare di comprenderlo nei suoi labirinti, per decidere come farlo agire nella nostra esistenza, governandone gli effetti generativi e moderandone le sue disfunzionalità.

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