Qualcosa ci perdiamo, qualcos’altro si dimentica, si smarrisce o si lascia. Quando il tempo del qui e ora è troppo affollato di compiti e scadenze, di impegni e obblighi, la mente non ce la fa. Questo carico cognitivo sproporzionato si trasforma in fatica, in ansia e nella fatale afflizione di lasciarsi alla spalle qualcosa di valore, che meritava di essere visto, sentito o vissuto.
Cerchiamo di tenere la rotta e ci proviamo aumentando il controllo. Incrementiamo lo sforzo di avere tutto sotto controllo: le nostre emozioni, gli impegni, le relazioni, il corpo. Senonché il controllo ha una finalità protettiva: cerca di evitarci esperienze sgradevoli o dolorose. Così, più si affolla il nostro tempo di carichi che non possiamo padroneggiare totalmente, maggiore è il ricorso a una modalità psicologica squisitamente difensiva. Come buttare benzina sul fuoco. Quando si cerca di governare una difficoltà ricorrendo a una difesa psicologica stiamo certificando e sancendo la nostra carenza e vulnerabilità.
Un circolo vizioso che può affliggere ancor di più le persone che hanno di loro troppa propensione al controllo. Come chi eccede nel controllo di sé per proteggersi dal giudizio degli altri, di cui ha un eccessivo timore. O chi esagera nel controllo per fuggire dalla possibilità di affidarsi, a cui associa il timore di imbattersi in un abbandono. Oppure chi abbonda nell’autocontrollo proteggendosi oltremisura dal rischio di fallire.
In breve, un mondo che sovraffolla la nostra agenda quotidiana di compiti e scadenze rischia di accendere il fuoco delle nostre fragilità, che hanno bisogno di sottrarsi al rischio di essere senza controllo.
Ridurre il carico cognitivo a cui ci sottoponiamo, senza avvalerci di un uso eccessivo del controllo, rappresenta una destinazione per il nostro benessere. Ben sapendo che non possiamo avvalerci della soluzione apparentemente più intuitiva: eliminare un po’ di compiti. Attraente e solo in parte possibile. Per lo più le attività, le scadenze e gli impegni a cui dobbiamo far fronte sono insopprimibili.
Possiamo provare dell’altro. Partendo da questa prospettiva neuronale: la mente non è multitasking. O meglio, non lo è la singola struttura neuronale. Possiamo assolvere a più compiti mentali contemporaneamente se questi fanno ricorso a differenti aree cerebrali. Mentre ci possiamo avvalere per un compito alla volta degli stessi neuroni. Infatti, una delle principali cause che producono la percezione del nostro affaticamento mentale è quando abbiamo più compiti da affrontare che richiedono di utilizzare le stesse strutture neurosinaptiche. Questa convergenza dello sforzo cognitivo sulla stesse strutture della mente genera malessere.
Ecco allora alcune strategie per diminuire il nostro affaticamento mentale.
- Ritualizzare comportamenti. Tutto ciò che è stato automatizzato e routinizzato dalla nostra mente richiede molto meno fatica mentale. Aiuta dunque trasformare in routine tutti i compiti che possono esserlo. Piccoli compiti ripetitivi che automatizziamo in gesti sempre uguali, che ci consentono di allentare il controllo mentre li stiamo realizzando.
- Allocare la memoria. Tutto ciò che dobbiamo ricordare accumula nella nostra mente fatica. Da usare, allora, dispositivi fisici e digitali, che ci consentono di allocare fuori dalla nostra mente la fatica del ricordo e di avere la sicurezza che ciò che ci serve, quando occorre, ci verrà ricordato. Liberandoci dalla fatica psicologica di doverlo tenere a mente.
- Esternalizzare le questioni aperte. Attività iniziate e non ancora portate a termine, progetti lasciati incompleti in attesa di essere conclusi, sono appesantimenti che prendono spazio nella mente. Per alleggerire il cervello non occorre necessariamente concluderli, basta assicurare loro che presto o tardi verrà fatto. Si possono depositare queste scadenze in un promemoria, di cui saremo sicuri che al momento giusto lo leggeremo. Sino ad allora possiamo dimenticarle.
- Allentare la presa delle frustrazioni. Quando siamo in difficoltà la nostra mente si allarma e le rende più importanti, le esaspera, provvedendo in questo modo ad alzare la nostra attenzione e la tensione. Anche questa è una strategia difensiva: non distrarsi quando sei in pericolo. Ma anche in questo caso il meccanismo protettivo produce effetti collaterali, nell’invasione di frustrazione, ansia e malessere. Invece che farsene avvolgere, meglio allontanarsi dalla presa di questa prepotenza emotiva a cui siamo sottoposti. Aiuta a trovare più leggerezza mentale e a ridimensionare il carico.
- Distorcere la percezione temporale. Il tempo è un’esperienza mentale, molto di più di quanto sia un’esperienza fisica. Il carico cognitivo che si patisce sovente è anche prodotto dal vissuto di non possedere il tempo che si desidererebbe. Ma il tempo che crediamo ci manchi non è un tempo che è sempre indispensabile avere. Aiuta a separarsi dal vissuto della carenza di tempo prendersi del tempo, andare in direzione opposta. Fare delle pause, rallentare, ascoltare un bel brano musicale, guardarci intorno, leggere una pagina di un romanzo, sorseggiare un tè. Piccoli gesti di ribellione al cuore che ci terrorizza per il tempo che ci mancherebbe.