La cattiveria non è tutta uguale. Vi è quella manifesta, spudorata persino, quella dell’insulto, sfrontato e perfido. Vi è la cattiveria accesa dall’invidia e anche quella del risentimento o della crudeltà.
Ma vi è pure una cattiveria inconsapevole, sottile ed elusiva, un moto dei gesti e delle parole che ferisce, che lascia conseguenze di dolore, a cui l’autore non riconosce una natura cattiva. “Sono stato sincero.” “Ho solo detto quel che penso.”
Innanzitutto, la cattiveria è un moto aggressivo, un’azione che intende lasciare un segno di dolore nell’Altro, anche provenendo da un’inconsapevole intenzione psichica. A differenza di altre forme di aggressività, quella della cattiveria nasce da un’incrinatura, da una crepa nel sentimento di sé. Si è cattivi quando si cerca un risarcimento, un indennizzo a un disagio che si cerca di ottenere attraverso un patimento inferto all’Altro. Il cuore reclama una riparazione e la cerca danneggiando l’Altro. Si potrebbe dire che la cattiveria è il modo attraverso cui la propria debolezza si risolleva assistendo alla ferita dell’Altro.
Un esempio. A lungo tacciamo a una persona amica di non considerarla poi così tanto simpatica e piacevole nei suoi modi di comunicare. Celiamo i nostri pensieri per evitarle un disagio, osservando quanto invece si consideri particolarmente gradevole. Poi accade che l’ennesimo episodio ci scateni un commento diretto, duro e finalmente sincero sui suoi modi. La conseguenza, del tutto prevedibile, è la provocazione di un grande dolore.
Si potrebbe pensare che in questa sincerità, ancorché tardiva, non vi sia altro che un gesto neutro, un semplice fatto di conoscenza condivisa tra persone amiche, quale parrebbe la sincerità. Ma le trame della fragilità orchestrano la loro cura psichica. Così, all’ennesima volta in cui ci si trova nelle condizioni di dover omettere quel che si pensa, lasciando credere all’Altro una falsa idea di sé, la goccia tracima nel proprio mondo interiore, che ha sempre assecondato un’idea di sé compiaciuta della persona amica, mentre in noi, all’opposto, è sempre tormento di non sentirci abbastanza piacevoli e simpatici. Ecco allora che esplode la cattiveria, liberatoria, l’aggressione che castiga chi non si dà pena di autocritica, mentre noi invece ne siamo troppo tormentati.
È sincerità, certo, ma come una spada usata per risarcirci di una giustizia che ci pare doverosa. Mentre non si tratta di fare giustizia, ma della debolezza di non saper accettare negli altri qualcosa di cui non siamo capaci noi.
In breve, la cattiveria è il modo con cui puniamo il mondo quando ci costringe alle nostre debolezze.