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GianMaria Zapelli elsewhere

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L’irrestibile bisogno della colpa, per non perdere il controllo

L’irrestibile bisogno della colpa, per non perdere il controllo

La ricerca della colpa non aspira a cambiamenti, cerca autori. Cerca cause riconducibili a volontà, che possano spiegare errori, fallimenti, danni.

Ricorrere alla colpa, quella che si attribuisce agli altri, quando ci deludono o feriscono, o quella che si attribuisce a se stessi, con tanto di pentimento, assolve a una prepotente necessità psicologica: ricondurre gli eventi a un’intenzione, a una volontà. Sottraendoli così al caso, all’insensatezza. In altre parole, al caos.

Se le delusioni che viviamo, le sofferenze che patiamo, non trovassero come spiegazione sbagli o errori sanzionabili delle persone, saremmo costretti ad accettare il disordine e l’interminabile. Ma è uno stato insostenibile, disorientante, assistere a ciò che influenza il nostro equilibrio, che ci tocca da vicino, e non potere avere la convinzione che sia controllabile. Senza colpevoli, senza un’intenzionalità a cui ricondurre una volontà, ciò che ci ferisce rimane inavvicinabile. Se non possiede un autore neppure possiede un futuro, ovvero la possibilità di credere che possa essere previsto e controllato domani. Così cerchiamo e abbiamo necessità di cause, che non lascino gli eventi indipendenti dalla volontà umana. E quando vi è una volontà vi è una colpa. Se c’è un male deve esserci un artefice.

Lo stesso schema in cerca di rassicurazioni lo si applica verso se stessi, quando siamo presi dai sensi di colpa. Il disagevole sentimento di colpa che possiamo vivere, come genitori verso i figli, come amici verso gli amici, come compagni verso il o la partner, non ha lo scopo di indurci a un cambiamento, di mobilitare energie per essere persone differenti. Difficilmente il solo sentimento di colpa ottiene che si diventi migliori. Il sentimento di colpa ci serve per non perderci, per sentirci autori di quel che viviamo, per assicurarci di non essere stati travolti dalla vita senza esserne stati protagonisti. Ci sentiamo in colpa e ci stiamo rassicurando di avere la nostra vita ancora nelle nostre mani, per quanto dolorosamente. 

Lo stesso nell’ispirazione religiosa: confessare le proprie colpe è un atto di protagonismo, di responsabilità. Nonostante la presenza del divino, che tutto potrebbe, compresa la propria vita, la colpa ricorda che ne dobbiamo invece rispondere con le nostre intenzioni. Senza potersi appellare alla volontà divina, che pur ne è l’artefice.

Esemplare come sovente i bambini piccoli elaborano la separazione dei loro genitori. In moltissimi casi il bambino sviluppa un senso di colpa, si convince di esserne stato la causa. Per quanto possa essere uno stato d’animo straziante da portare con sé, ne ottiene un sentimento di controllo sull’evento che lo sta lacerando. La sofferenza di sentirsene colpevole è preferibile al disagio traumatizzante di non avere avuto un controllo.

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