Qual è l’essenza del conflitto? In un tempo che affligge con conflitti drammatici, non solo quelli devastanti della guerra, ma anche quelli che degenerano in atroci femminicidi, parrebbe sia questa la versione del conflitto, quella estrema, spaventosa, ignobile.
Ma se è abissale la differenza tra un ordigno lanciato sui bambini e la voce che si alza con il figlio che non ubbidisce, oppure quella di un coltello che azzera la vita di una donna e l’antagonismo rude con un collega, meno differente è il motore psichico che accende un conflitto. In altre parole, come spiegare il fatto che forse nessuno rimane esente da occasioni di conflitto, di dissidio, di impuntatura relazionale, pur contenuta e controllata, persino con le persone amate?
In ogni conflitto non concorrono solo i fatti, gli eventi a cui si è esposti e a volte assoggettati, in ogni conflitto è presente uno stato psichico della mente. Il gesto conflittuale, anche quando dissimulato o inflitto in modo apparentemente garbato, è un gesto aggressivo. L’aggressione conflittuale ha una precisa matrice: è un meccanismo difensivo. Si ricorre al conflitto quando si è nelle condizioni di avere qualcosa o qualcuno da difendere. Quando si sta percependo, anche inconsapevolmente, una minaccia da cui ci si vuole sottrarre. L’essenza del conflitto è dunque la difesa, che si scaglia aggressivamente contro chi viene vissuto come aggressore. Questa dinamica è inabissata in una sorgente: il bisogno di difendersi è la voce di un cuore fragile, vulnerabile. In ogni difesa parla una debolezza.
Allora, è possibile interrogare il conflitto che mette in difesa chiedendosi: “Perché questa necessità di difendermi? Dove sta la mia debolezza che debbo proteggere con questa aggressione?”
Così Gandhi ha affrontato un conflitto con la Gran Bretagna perché voleva sottrarsi dalla condizione di debolezza e privazione della libertà in cui si trovavano gli indiani. Perché vi sono conflitti necessari, indispensabili, che nascono dal difendere qualcosa che merita di essere difeso: una libertà contro il sopruso di chi la offende, il diritto di un pensiero contro chi lo vorrebbe silente, persino la vita contro chi cerca di spegnerla.
Un aspetto fondamentale del conflitto è la trasformazione dell’Altro in nemico. Dominati dall’impeto aggressivo l’altra persona viene svuotata dalle sfumature, dalla sua poliedricità, per condensarsi e semplificarsi nei contenuti della minaccia che rappresenta. Per questo in ogni conflitto è presente un dilemma, una divariazione che oppone due strade: quella del nemico e quella dell’Altro. Detto in altro modo: se i fatti contro cui si è in rivolta aggressiva siano tali da annullare ogni altro contenuto dell’Altro o se sua riduzione a nemico e minaccia sia sproporzionata, perché animata dalla sorgente psichica della propria debolezza.
Vi sono conflitti, sovente meno visibili e rumorosi, presenti nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nei treni o nelle code per un buon saldo, quando un saluto non viene ricambiato o quando si riceve una critica, che non si accordano con la realtà, ma con una lacuna dell’io, che si occulta nelle trame delle emozioni e dell’inconscio. Si vivono offese, ingiustizie, scorrettezze leggendo il mondo attraverso le lenti della propria vulnerabilità. È una fragilità che non riguarda i fatti, ma come le ferite vissute nella propria vita hanno generato nel cuore un alfabeto di minacce e pericoli.