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GianMaria Zapelli elsewhere

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Essere attenti è più che ascoltare

Essere attenti è più che ascoltare

Forse una distinzione potrebbe fare la differenza: tra l’ascolto e l’attenzione. 

Un terzo delle reti neuronali del cervello è dedicato alla percezione del mondo esterno. Allo scopo di assicurarci sopravvivenza, la mente ha un’attività di vigilanza incessante, ben più guardinga di quanto ce ne possiamo accorgere. Ma questo non significa che sia dedicata alla conoscenza di ciò che ascolta. 

Nella sua azione spontanea e automatizzata, la mente non si propone di impossessarsi di un sapere disinteressato e oggettivabile. Per occuparsi della nostra difesa le occorre una declinazione semplificata di ciò che ascolta. Richiede di tradurre gli stimoli percepiti in scelte che proteggono o gratificano: avvicinarsi o allontanarsi, tranquillizzarsi o allarmarsi, accogliere o respingere. Si arriva velocemente alla conclusione, si selezionano gli stimoli secondo esperienza e stati d’animo, si reagisce a ciò che si ascolta non per bisogno di sapere, ma per sensibilità alle cicatrici lasciate dalla vita, si ignora ciò che non si vede, si subordina il contenuto alle emozioni. 

È un ascolto lacunoso, sovente molto di più di quanto ce ne accorgiamo. Sempre neurologicamente fazioso, al servizio delle finalità inconsce e automatizzare del sistema nervoso del suo autore. Perché l’ascolto spontaneo della nostra mente non è predisposto per com-prendere, invece è al servizio dell’intra-prendere.

Se pur non ci è data la possibilità di sapere se abbiamo compreso perfettamente, se siamo riusciti a non farci sfuggire nulla della realtà percepita, reclusi come siamo nella nostra mente e nelle sue produzioni, possiamo attenuare e mitigare il rischio di un ascolto spontaneamente troppo lacunoso. Possiamo impegnarci ad essere attenti. Possiamo corroborare l’ascolto arricchendolo dell’attenzione.

L’attenzione possiede una straordinaria specificità: regola l’ascolto, sovraintendendone gli automatismi. Quando siamo attenti stiamo ricorrendo alle strutture prefrontali della corteccia, dedicate a coordinare e indirizzare le attività automatiche e abitudinarie della mente quando ascolta. 

Lo stato cognitivo dell’attenzione possiede una specificità: quella di trattenere, frenare, contenere, rimodulare

Quando si è attenti si frena la frettolosa conclusione, si trattiene il facile giudizio, si contengono le emozioni che vorrebbero impadronirsi dei contenuti con la loro colorazione partigiana. Ascoltare con attenzione non aggiunge contenuto, non interpreta, non giudica, ma toglie, sottrae, per lasciare spazio al dubbio e agli interrogativi. 

L’attenzione è cautela del pensiero e accortezza delle emozioni. Saper essere attenti è una disciplina della mente. Che si impone di tollerare di non capire, senza precipitarsi a una conclusione. Che vigila nel non escludere. Perché essere attenti significa essere concentrati, per accorgersi di ciò che si rischia di perdere del mondo che si vorrebbe ascoltare.

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